“E così nacque Ferguson, e per diversi secondi, una volta uscito dal corpo di sua madre, fu l’essere umano più giovane sulla faccia della terra”.
Questa frase che si trova nelle prime pagine di 4321 di Paul Auster è, secondo me, l’essenza del romanzo, il cuore pulsante di Archie Ferguson intorno al quale gravita l’intera narrazione. Non è un romanzo lineare e all’inizio chi legge sente quasi il bisogno di una mappa per orientarsi nelle quattro possibili vite di Ferguson. Il destino che lo aspetta, quello che diventerà o che potrebbe diventare dipende da un evento o più eventi che cambiano il corso della sua esistenza.
Quella manciata di secondi, che fanno di Ferguson l’essere umano più giovane sulla faccia della terra, vanno via veloci mentre inizia il conto alla rovescia dei giorni che gli restano da vivere. È solo in quell’istante che Ferguson è vivo, superato quello è già tutto finito o quasi.
4321 è dunque il countdown di Archie Ferguson ma anche “[…] una parabola del destino umano e degli infiniti bivi che una persona deve affrontare durante il cammino della propria esistenza”.
Il lettore seguirà quattro storie diverse, quattro possibili destini di Ferguson, vite che però hanno in comune gli amici, i familiari, gli amori, la passione per la letteratura e la scrittura.
In fondo, sembra suggerirci Auster, il destino può cambiare colore all’abito che indossiamo per recitare l’atto unico che è la nostra vita, ma quell’atto unico avrà sempre delle costanti che ci aiuteranno a interpretare parti diverse ma in fondo simili e contigue.
4321 è un romanzo che non lascia spazio a fraintendimenti, il lettore non deve dare la sua interpretazione ai fatti, i fatti sono tutti lì, spiegati e illustrati dall’autore: vita, morte, amore, amicizia, c’è tutto quello che può succedere o è già successo a un qualsiasi essere umano. E poi c’è l’America, un paese ferito e dall’anima ribelle, che dagli anni Quaranta ai Settanta ha combattuto una guerra interna: le lotte sociali e quelle per i diritti civili e generazionali, le violente proteste per la guerra in Vietnam. Piccoli mondi in un grande mondo che li contiene tutti come cerchi concentrici dove la simultaneità degli eventi può cambiare passo alla vita, nel bene e nel male.
Auster focalizza la sua attenzione sul piccolo mondo di Archie Ferguson, mondo che inevitabilmente è influenzato dai grandi cambiamenti che lo circondano. Passare da un Ferguson all’altro è un continuo viaggio nel tempo: Archie che guarda la vita con gli occhi ingenui dell’infanzia o con la sfrontatezza dell’adolescenza, Archie sopraffatto dal dolore e il dolore che si trasforma in rabbia e la rabbia che diventa voglia di evasione. E poi incontri mancati, amori abbandonati o quelli mai cominciati. L’intreccio creato da Auster in 4321 è magistrale, come solo un grande narratore sa fare.
“[…] la sensazione costante che i bivi e le parallele delle strade prese e non prese fossero tutti percorsi dalle stesse persone nello stesso momento, le persone visibili e le persone ombra, che il mondo effettivo fosse solo una piccola parte di mondo, poiché la realtà consisteva anche in quello che sarebbe potuto succedere ma non era successo, che una strada non fosse né meglio né peggio di un’altra, ma il tormento di vivere in un solo corpo stava nel fatto che dovevi essere sempre su una strada soltanto, anche se avresti potuto essere su un’altra, in viaggio verso un posto completamente diverso”.
La “vita è ovunque” e in questo ovunque è possibile smarrirsi o ritrovarsi, anche in un romanzo. Inoltre, con la lunga lista di scrittori, poeti e artisti citati nel libro come cose preziose che bisogna assolutamente leggere o vedere, Paul Auster ha fatto il più bell’omaggio all’arte, alla letteratura e all’essere scrittore. Eppure Auster non sovrasta mai il lettore facendolo sentire piccolo o ignorante e, come avevo già notato in altri suoi romanzi, lui prende per mano il lettore, lo mette a suo agio e quando tutto intorno è silenzio inizia a raccontare. In fondo la vita è piena di storie che vogliono essere raccontate e nell’attesa di trovare una voce che le afferri vagano in regni invisibili e lontani.
“Ferguson non aveva ancora cinque anni ma già capiva che il mondo era composto da due regni, il visibile e l’invisibile, e che spesso le cose invisibili erano più vere di quelle visibili”
Alla fine ciò che conta per Ferguson, ma credo anche per tutti noi, è “[…] trovare un modo di stare al mondo” prima che arrivi “Il grande evento che squarcia il cuore delle cose e cambia la vita di tutti, il momento indimenticabile in cui finisce una cosa e ne comincia un’altra”.
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NOTA PERSONALE
Ho letto le quasi mille pagine in ventisei giorni e in quei giorni e nelle settimane successive, Ferguson e i suoi compagni di viaggio, mi hanno tenuto compagnia come vecchi amici, le loro voci e i loro tormenti non smettevano di ossessionarmi.
Nessun libro può cambiarti la vita, perché la realtà spesso assume forme inaspettate e ti porta lì dove non avresti mai immaginato di andare. Ma leggere le parole d’altri spesso mi fa sentire meno sola e per un poco posso fare a meno del mondo che mi circonda