“Metti insieme due persone che insieme non sono mai state; a volte il mondo cambia, a volte no. Può darsi che si schiantino e prendano fuoco, o prendano fuoco e poi si schiantino. Ma a volte, invece, ne nasce qualcosa di nuovo, e allora il mondo cambia”.
Sono alla fine del mondo. E ti aspetto. è un progetto fotografico di Lulù Withheld e Carver77, presentato all’edizione bolognese di Paratissima, la scorsa primavera. Una serie di fotografie, fotogrammi che si dispiegano uno dopo l’altro a creare un racconto di suggestioni vagamente oniriche, perse nei toni cupi e rarefatti del rosso e del blu.
Due individui, Lulù e Carver, che si sono trovati una notte di pioggia e, mescolando insieme loro immagini e parole, sono riusciti a creare un racconto intimo, passionale e intenso come solo certe storie nell’oscurità possono essere. Una storia d’amore. Una possibile, tra le cose perdute. Insieme delineano un percorso che non è solo visivo. Non più. Si guardano senza incontrarsi, si sfiorano senza toccarsi e le parole corrono veloci sullo schermo opalescente che illumina queste anime ardenti e desolate.
“…alla fine del mondo vorrei trovarti”.
Chiusa nelle loro stanze segrete, la carne vibra, viva e piena. Il pensiero scorre lungo i confini di un desiderio malcelato che affiora nell’oscurità, in una stanza senza pareti, dove cerca di fare entrare anche solo una Speranza.
“Ci fosse una porta saprei da dove entrare. Saprei anche come uscire, se ne sentissi la necessità”
È il desiderio che preme e spinge e preme e spinge, quella fottuta paura di andare oltre, scivolare in quell’oltre, entrare per davvero in quella stanza e perdersi, ritrovandosi.
Ritrovandosi.
Là dentro, dove quello struggimento s’infiamma, si percepisce vivo e vivido nella sequenza -seppur breve – di immagini, un personalissimo assedio che vince su tutto.
Un legame tra due solitudini che si cercano solo in apparenza, attraverso una danza di carne e suppliche. Perchè tra loro la paura si traveste d’audacia ma poi desiste, vinta, alle prime luci del giorno. Incalza, freme, muore. Come l’amore.
Un progetto fatto sì di immagini ma soprattutto di sensazioni che si rincorrono e si fanno complementari, tracciano linee lungo i bordi, fuori fuoco solo apparentemente: è nei particolari che si compie il destino di un desiderio intimo e inquieto e solo per un attimo che viene condiviso. Si sfiorano i due protagonisti in questa notte fatta di sensazioni, immagini e porte che sbattono e si chiudono alle spalle.
E poi i silenzi lunghi, silenzi che perdurano e perpetuano la solitudine di due anime inquiete lungo i confini di un desiderio che non vuole prendere altra forma se non la malinconia.
Una storia triste, questa, dai colori cupi e forti, il rosso e il blu dominano la narrazione visiva come in un sogno lynchiano che suggerisce e confonde, rivelando una passione tragica che si dischiude al crepuscolo e sembra esplodere nel rosso acceso di un bagno. Avvolgente. Sinuoso. Oscuro e perturbante.
Il colore ritma la sequenza: dal rosso al blu, dal blu al rosso. A volte sembrano solo accenni di colore, sospesi. Simulacri di quel desiderio ancora incompiuto: il rosso sfacciato che punge lo sguardo, scalda, invita e quel malinconico blu in cui Carver sprofonda, così corposo che pare di toccarlo con le dita.
Atmosfere cupe, drammatiche, inquiete come il carattere dei protagonisti di un film immaginario che sembrano perdersi e forse si rincorrono senza cercarsi mai veramente.
La tensione è rivolta verso l’interno e implode inesorabilmente, ecco perchè riesce perfettamente questo incastro di sequenze e sensazioni. Tutto accade a livello interiore. Per i due protagonisti, per lo spettatore.
La luce che segue il ritmo delle parole che i due, a stento o di getto, si scambiano e crea quel movimento impercettibile verso l’epilogo.
Una combinazione perfetta che, attraverso lo scorrere cadenzato di pochi semplici scatti, mette in scena un’idea dell’amore. Quello ti coglie impreparato, nella notte scura, dove non riesci a vedere e senti, senti sulla pelle, lo senti scorrere nelle vene e ancora no, non basta.
Un brevissimo viaggio intenso e rarefatto avvinto in una sequenza ritmata dal battito di un cuore che pulsa tra le dita, sulle labbra, lungo la pelle di corpi brucianti, loro malgrado.
Il dialogo in sottofondo, una sequenza sincopata che spinge a far resistenza.
Le inquietudini emergono poi sempre nei dettagli. Crudeli. Entrano in quelli e li abitano totalmente. Diventano quello e solo quello, per questo i protagonisti non s’incontrano, non si possono incontrare, se non in un pensiero fugace e devastante. Una notte.
Smaniosi e malinconici, sono corpi che vivono una tensione continua verso qualcosa che non si realizza mai, non si realizzerà mai. Per caso, per volontà, corpo e mente che si affannano e fremono permettendo loro di dare una forma compiuta a quel loro desiderio che viene piuttosto sublimato e celebrato come estremo atto creativo.
La tensione dei due corpi, il desiderio l’amore e la paura che non possono vivere il momento, la nostalgia che impregna ogni momento prima di venire veramente vissuto, così necessariamente la loro storia si dissolve nel Blu di una notte che sta per finire e sfuma nel giorno. L’alba. Che ogni cosa si riprende.
In un attimo, tutto accade. Tutto si perde.
Un attimo fugace che diventa il prima e il dopo e il durante di questa storia struggente e che proprio nella sospensione trova infine il suo compimento.
Ha bisogno della mancanza dell’altro, una conditio sine qua non per continuare a vivere. Per compiere ognuno dentro di sé quello che l’altro da sé non può dare.
Non ha veramente importanza che i due protagonisti si siano sfiorati davvero: Lulù e Carver incidono nella notte una storia bellissima. D’amore.
“Voglio vedere, fatemi sentire che non è solo un sogno.
Voglio vedere, fatemi vedere dove siete, esistete davvero?“