di Chiara Gandolfi
Io sono ossessionata dagli occhi: in terza elementare pensavo di diventare cieca perché avevo messo gli occhiali. Poi sono arrivata ad avere mancamenti di diottrie fino a 8 e ho capito tante cose. Per esempio che la scuola, aprendomi gli occhi su molte questioni della vita, gli occhi me li stava rovinando.
Oliver Sacks è uno degli uomini che ho amato e, segretamente ma non troppo, continuo ad amare anche se non c’è più: un neurologo delle storie che mi ha avvicinato alle patologie della mente attraverso i casi dei suoi pazienti.
Lui stesso soffriva di prosopagnosia, una condizione neurologica che gli impediva di riconoscere i visi delle persone, anche quelle care, anche la sua, davanti allo specchio.
Era cieco da un occhio (aveva fatto la radio contro un melanoma) per cui potevamo amarci ancora di più, capirci nel profondo (vederci, un po’ meno).
Nel suo saggio The Mind’s Eye, dove c’era anche Sue Barry che vede il mondo con un occhio alla volta — di lei però non sono stata gelosa -, ripercorre la strada della perdita parziale della vista e siamo stati così vicini che.
Sono io
Dai tre anni soffriva di emicranie, spesso accompagnate da allucinazioni visive: in Hallucinations, una stupenda antologia di racconti clinici descrive tra visioni estatiche e non, una sua esperienza allucinatoria sotto l’effetto di anfetamine, acidi e cannabis.
“Una volta mi dissi: voglio vedere il colore indaco. Iniziò un viaggio che mi mostrò un capolavoro cromatico che nemmeno Giotto era mai riuscito a realizzare”.
Mi affascina di lui la sua ironia e l’ironia delle sue allucinazioni. Una volta proprio loro lo presero in giro, visto che non era in grado di riconoscere i volti:
“Mi sono svegliato e ho visto una versione più giovane del mio volto a circa mezzo metro di distanza e sembrava che mi stesse guardando e si stesse muovendo leggermente.”
Nelle persone parzialmente o completamente non vedenti che soffrono di allucinazioni si registra una maggiore attività dell’emisfero destro posteriore, quella zona che si chiama “l’area dei volti”; l’apparato visivo diventa iperattivo e tutto eccitato produce allucinazioni di volti visto che non può produrne il riconoscimento.
Il nostro cervello crea e costruisce la realtà e nel caso di una perdita, come un lutto, è bravissimo a compensare, riempiendo il vuoto con qualcosa che non è presente in quel momento. Molti suoi pazienti che avevano perso il coniuge dichiaravano di avere allucinazioni visive e uditive del defunto.
Durante il periodo universitario mi imbattei in Milena, una ragazzina afasica. L’afasia è un disturbo dell’espressione che non permette di comprendere il linguaggio altrui (afasia ricettiva) e/o comunicare il proprio pensiero nonostante sia stata interiormente acquisito (afasia espressiva). Imparai molto da lei, dagli sforzi che faceva ogni giorno per dire una frase o quando mi guardava assorta come fossi un’aliena, da tutti quei gesti confusi che dovevano prendere un qualche senso. È ancora oggi una delle esperienze più vivide della mia vita. Fu in quel periodo che incontrai il Dott. Sacks; il primo appuntamento ce lo siamo dati con The man who mistook his wife for a hat, in cui descrive i comportamenti imprevedibili e dolorosi di pazienti affetti da lesioni al cervello: tra questi, un musicista colpito da agnosia che aveva difficoltà a distinguere gli oggetti e le persone e che provò a indossare sua moglie dopo averla scambiata per un cappello.
Svegliati con me
Oliver Sacks fu criticato perché era attratto dal romanzo quanto dalla scienza, perché si interessava di persone e di malattie, perché le patologie che descriveva tenevano sempre conto del soggetto e del suo vissuto. I suoi sono racconti psicologici di un’intensità spaventosa.
Awakenings (ci hanno fatto anche un film con Robin Williams e Robert De Niro) racconta storie di pazienti post-encefalitici rimasti in uno stato catatonico per decenni che in seguito alla somministrazione di un nuovo farmaco, L-Dopa, tornano alla realtà. Di questo risveglio e degli spettacolari risultati della sua somministrazione parla con il bisogno di restituire delle storie, dare senso, coerenza alle esistenze dei pazienti.
Oliver Sacks aveva una straordinaria capacità narrativa, aveva il dono della proprietà di linguaggio e della scrittura efficace in grado di restituire le persone a sé stesse facendole riconoscere.
La sua è una dimensione letteraria che non abbandona l’integrità scientifica ma che le dà vita come nei libri di Darwin che contengono la scienza in uno scenario più ampio, che è la storia.
Le storie sono il nostro modo di interagire con il mondo, con tutte le sue assurdità. E se sembriamo assurdi o spaventosi è perché cerchiamo di rendere visibile il mondo in tutto il suo splendido terrore.
Oliver Sacks andava a nuotare tutti giorni quando poteva. Ci va ancora, ieri per esempio, quando ci siamo incrociati sembravamo due rane.
Colonna sonora per la lettura:
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