C’era una volta una cosa
ha chiesto: cosa
contava qualcosa?
da no a niente
nessun ente
comunque oplà
il senso eccolo qua
entrò l’apparenza
dentro la verità
e divenne possibilità.
Paul Klee, Asino
Io sono Dio, Ich bin Gott, scrive Paul Klee, quel Paul Klee che tutti conosciamo per le sue immagini incantate, bambinesche, colme di colori, luci, linee fluide, spesse, sottili come ragnatele, spezzettate e intricate in grovigli disordinati, contorni assenti o ampliamente definiti, come alte cortine di invalicabili aree segrete, giardini sovrannaturali e silenti, di quelli che vedevamo nei sogni di quando eravamo giovani. «Tanta divinità / si è accumulata in me / che non posso morire» (P. Klee). Modesto il pittore di Berna, poliedrico e vivo, tuttora, con la sua arte.
Io, dopo anni passati a collocare pittori dentro correnti e scuole, a comprendere stili, impasti, teorie, ho scoperto un Klee lirico, inondato da una luce nuova, quella delle parole. Franco Arminio scrive che «le poesie sono tazzine di luce nella notte», la poesia di Klee è colorata come le sue tele, sofisticata senza essere pedante, è una giovane ballerina impegnata a danzare, persa nei suoi plié e in giravolte. C’è qualche dio, più di una volta ricorrono le stelle, ci sono speranze e la splendida libertà di tutte le possibilità ancora aperte; ma la abitano anche tristezza, amore, costernazione. Pochi sono i riferimenti all’arte e molti alla vita. In Klee le parole sono solo un altro modo per comprendere il mondo, così come la musica e la pittura costituiscono un mezzo per giungere a districare la matassa dell’esistenza, per scardinare dogmi imperanti e comprendere ogni cosa.
Ne consiglio la lettura, così come consiglio di visitare la grande mostra sul Klee primitivo, sulla necessità dell’opera di Klee di carpire una parte di un mondo ancestrale, inabissato, lontano. Paul Klee – Alle origini dell’arte è curata da Michele Dantini e Raffaella Resch e si terrà al Mudec, Museo delle Culture di Milano, dal prossimo 31 ottobre al 3 marzo 2019.
Il bisogno di analizzare questo squarcio di realtà si connette, nella ricerca dell’artista svizzero, alla necessità di prendere in considerazione le figure infantili e i disegni dei malati mentali. Come a dire che fare arte in sostanza significa scavare delle gallerie sotterranee nelle cose, nella storia e nelle menti di chi la produce. Non limitarsi alle apparenze, ricercare senza fermarsi, ricominciare nonostante ostacoli e limiti di primo impatto insormontabili, perché l’arte, ci salva. Sarà così «fino a quando le ombre / se ne vanno senza brontolare» (P. Klee), sarà così fino a quando noi stessi saremo ombre e di noi non resteranno nient’altro che ricordi.
Il primitivismo di Klee è qualcosa di molto più profondo e intimo rispetto ai primitivismi abbracciati da altri artisti del panorama a lui contemporaneo, come Gauguin, Picasso o Modigliani. Non è un primitivismo che sfocia nel giapponismo o nell’interesse degli stilemi precolombiani o tribali dell’Africa Nera o dell’Oceania. È un primitivismo sacrale intriso di componenti pre-surrealiste, non è un procedere indietro rispetto al presente su una linea temporale che si dispiega come una retta, né un andare “altrove” per ricercare archetipi perduti, è piuttosto uno scendere nelle profondità di sé stessi, andare a fondo per comprendersi e per scoprire, paradossalmente, che dove pensavamo ci fosse nient’altro che oscurità, c’è in realtà la luce.
© Iole Cianciosi