Anche io, come tutti voi, ho una serie di illustratori preferiti. Ad essere sincero, quello che ho instaurato con loro, con i loro lavori, è un rapporto che vede la sua base eretta su quello che facevo con frequenza quando avevo quattordici anni, ovvero passare gran parte del tempo a disegnare, con tanto di musica in sottofondo e sogni oltre ogni limite. Certo, dallo sciocco disegno all’illustratore affermato ce ne passa di acqua sotto i ponti, ma ogni volta che mi trovo davanti ad una tavola che cattura inspiegabilmente la mia attenzione, mi perdo in quel circolo vizioso che è l’immaginazione e la successiva interpretazione di quello che ammiro. A volte sento qualcuno parlare dell’impossibilità di un’illustrazione di suscitare riflessioni. Affermazioni come queste fanno sorridere, eppure il nostro vivere quotidiano, i nostri lavori sconclusionati, sono fedelmente fondati sull’illustrazione. Basti pensare all’impiego che di essa se ne fa nel campo della pubblicità.
In questo modo si crea un parallelo con un’altra espressione artistica che, giorno dopo giorno, non smette di indagare la realtà e rappresentarla nelle sue forme più impensabili. La satira insita nel fumetto, la capacità di catturare il contesto e raffigurarlo su un pezzo di carta. Un’arte identica a quella che gli scrittori che riescono ad immergere nei loro lavori. Il primo usa delle figure, il secondo delle parole. Trovare una differenza tra i due mezzi non è poi così facile, putacaso è questo uno dei dibattiti aperti da tempi immemori da intellettuali come Umberto Eco nei suoi numerosi saggi. Allora sottolineare la potenza comunicativa di una illustrazione è tanto ovvio quanto necessario. Il New Yorker è famoso, oltre che per il prestigio dei contenuti, anche per la lunga serie di illustratori che ha abilmente creato le copertine delle edizioni del magazine. Per non parlare delle edizioni dei grandi romanzi, una lunga schiera di classici a cui non si può rimanere estranei, al cui interno ci sono illustrazioni divenute anch’esse dei prototipi per la raffigurazione dei personaggi. Un esempio può essere Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie (1865) di Lewis Carroll.
Tornando sui miei passi, tra gli illustratori che seguo con una certa costanza, c’è Polly Nor. Artista ventisettenne originaria di Londra, ha visto i suoi lavori girare per tutto il mondo, per tutte le redazioni che l’hanno ospitata nelle copertine di magazine e servizi speciali ad alto contenuto sociale. Lo stile di Polly Nor è facilmente riconoscibile, sinonimo di un’originalità che permette ai suoi lavori di erigersi nel vasto mare delle arti figurative. La particolarità dei suoi soggetti, donne e diavoli per la maggiore, riescono a consegnare ai nostri occhi una dimensione profonda relegata ai retroscena di vite vissute all’insegna dell’ordinario. Una delle illustrazioni che amo particolarmente raffigura un diavolo mentre appende ai fili del bucato un costume di ragazza. Allontanare i propri panni, spogliarsi come necessaria pratica che consente finalmente di poter respirare oltre ogni limite impresso nelle nostre esistenze.
Up All Night, 2015
Riflettersi in uno specchio Ikea, osservando il diavolo — inteso come male liberatorio — che ci abita, in una camera affollata di inutili orpelli che ci legano al passato, scorcio di tempo in cui viviamo per la maggior parte delle nostre vite — anche quando non sembra poi così palese. Le tentazioni di Polly Nor, gli stati d’animo dei suoi personaggi annoiati e costretti ad una rassegnazione che quasi denuncia l’iper-efficienza a cui dobbiamo sottoporci per ritenerci membri di un microcosmo sempre in competizione con sé stesso, con la propria ombra proiettata sulle strade che percorriamo per raggiungere il posto di lavoro. E nel disagio, nel momento in cui si è costretti a cedere alla morsa asfittica del contesto a cui apparteniamo, ci lasciamo coccolare dal lato che più teniamo a freno, costretto a rimanere nell’angolo buio dell’inconscio.
Thinking Bout You, 2015
Lasciare letteralmente in gabbia le apparenze, masturbarsi fino ad incontrare la propria follia allo stato puro tra le lenzuola di un letto qualunque, surfare tra le onde di un mare che sceglie di averti tutto per sé. Polly Nor e le sue illustrazioni, a discapito di quanto si dica, di quanto poco ci sia di comunicativo in un tavola da disegno, riesce a trasmettere questo senso di distacco piuttosto che di appartenenza ad un ritmo incessante che velocizza i nostri passi fino a farli divenire schiavi di un flusso continuo privo di controllo. L’illustratrice londinese sa perfettamente come comunicare questo sentimento di inadeguatezza nello stare al mondo. I suoi lavori si servono dell’alleanza che si instaura tra mente e matita. I colori riempiono gli spazi vuoti e le storie che incontriamo ogni singolo giorno nei momenti meno opportuni.
La schiettezza di Polly Nor è la componente che più prediligo nei suoi lavori. Ciò che rende le sue illustrazioni dirette è la capacità di scegliere di raffigurare una realtà priva di artifici, così come si presenta ai nostri occhi. Una realtà nuda che non ha bisogno di essere annunciata a gran voce, ma che necessita solamente di essere osservata in ogni sua declinazione.
It Got Loose, 2016
Nofilter, 2016
Nm Rly Wbu, 2015
The Devil Wears Nada, 2015