Canzoni di Charles Manson
22.15, inizi agosto.
Si profilava, nel pomeriggio, un splendido temporale estivo, annunciato da lampi lontani e qualche tuono. Ma non è successo niente, alla fine. Le particelle di azoto sono rimaste sospese nell’aria, nel limbo tra l’essere e il non essere, nel margine instabile della perdizione. Evidentemente, il fenomeno, mi ha dato un po’ alla testa, come il cloruro di metile faceva andare su di giri i sommergibilisti nei battelli della prima e della seconda guerra mondiale, travolgendo l’equipaggio in smanie, depressioni, stati di euforia, follia omicida, allucinazioni. Non lo scrivo per giustificare quanto fatto in seguito, anzi, me ne assumo tutte le responsabilità, alzando le barriere soprattutto agli occhi dei più bigotti, di quelli che vengono presi generalmente da facile sconcerto.
Il fatto è che mi piace scavare a fondo nelle faccende, osservare i fenomeni da più punti di vista, esterni, interni, dall’alto, dal basso, di lato. Capire le ragioni delle vittime e dei carnefici, cercare di fare un po’ di luce e gettare qualche ponte per costruire vie sghembe tra più universi in grado di scambiarsi messaggi, seppur non comprendendosi.
Così, dopo aver letto un lungo articolo su uno dei più efferati criminali americani e ormai icona pop, ho scavato tra le macerie e ho scoperto che ha inciso anche qualche album musicale. E allora, perché non ascoltarli? Tanto per sapere fin dove potrebbero arrivare la sua immaginazione e il suo particolare talento. Perché se qualcuno gli avesse dato maggiore fiducia sostenendo il suo sogno di diventare una rock star, forse avrebbe evitato il peggio e magari oggi ci sarebbe qualche morto di meno e qualche cantante maledetto in più, mediocre forse, ma con tutta la musica scadente che ci sommerge, un Charles Manson non avrebbe di certo abbassato di tanto il livello.
Ho trovato, comunque, il suo sound tutt’altro che banale, i suoi testi spassionati e in qualche modo, anche, nella loro semplicità, profondi. La prima canzone che ho ascoltato è stata Look At Your Game Girl in cui si parla del gioco triste e folle di una ragazza, un gioco che francamente non saprei qual è. People Say I’m No Good, titolo divertente ed onesto. È una canzone molto meno lineare della prima, più frastagliata, una chitarra strimpellata con evidente difficoltà, una voce che si ferma e ricomincia, un ritmo che si fa a tratti più lento, a tratti più veloce. La mano che ogni tanto batte dei colpi sulla chitarra, in fretta, in preda a una frenesia palpabile. La canzone però mi piace, anche parecchio. Forse sono stata manipolata come tanti altri, da un Manson ormai trapassato che è, con il suo folle sguardo, da qualche parte, tra i suoi peccati e la sua musica dimenticata.
In Cease To Exist il ritmo lento accelera piano, raggiunge l’apice in cui la voce di Manson ristabilisce l’ordine e poi torna a rallentare e accelerare instancabilmente per due minuti buoni. I love you, canta Manson ad una ragazza alla quale dichiara anche My life is yours and / You can have my world.
In Ego la voce sovrasta tutto. Allucinata e bellissima.
Credo, arrivata ormai a questo punto, di apprezzare molto l’opera musicale di un guru con una svastica tatuata in fronte e con il peso di diverse morti, sulla coscienza.
Mi ricorda certe canzoni dei Beatles, i primi esperimenti dei Rolling Stones, le abbagliate e psichedeliche melodie dei Doors. L’universo hippie nel quale il suo personaggio si è formato, degenerandolo. Le danze di qualche primitiva tribù in preda ad abbagli estatici.
In Home Is Where You’re Happy si parla di libertà e felicità, con la leggerezza dei matti o di chi è sotto effetto di LSD. Mi domando se queste canzoni siano state prodotte da un secondo stato di coscienza, parallelo a quella del criminale cattivo. In Sick City si raccomanda di guardare la tv e bere una birra – And watch TV and drink your beer – che uomo ordinario, questo Manson.
Le note che mi accompagnano nella scrittura sono quelle delle tracce dell’album di debutto di Charles Manson, Lie: The Love and Terror Cult. Pubblicato il 6 marzo 1970 da Phil Kaufman, attraverso l’etichetta discografica Awareness Records.
Ciò che più stupisce dalle canzoni presenti nell’opera di esordio di Manson, alla quale seguirono nel corso degli anni altri due dischi, l’ultimo nel 2005 – One Mind – è che, a prescindere da quel che dicono i testi, intrisi di una irrequietezza dimessa e di un’inquietudine potenzialmente pericolosa, non traspare nessuna rabbia. Tutto è immerso in un’atmosfera piuttosto serena, quasi pacifica.
Ci si chiede dove possa risiedere l’inganno, ma forse l’inganno non c’è. Probabilmente è tutto chiaro e limpido come appare, ogni cosa abbandonata al proprio destino. Dal sound, più che protesta e ribellione, vengono fuori solo i sentimenti o di uno che credeva fermamente in un sogno o di chi si è già arreso. Ma la verità, anche stavolta, è altrove.
– Just as long as you’ve got love in your heart
You’ll never be alone –
© Iole Cianciosi