– Teniamoci chiaro.
– Teniamoci a distanza, vorrai dire.
– Teniamoci chiaro.
– Chiedi chiarezza, di questi tempi?
– La chiarezza non mi porta.
– Ti porta dove?
– Tu. Tu sei ontologicamente calvo.
– Mi sa che oggi hai qualcosa di strano.
– Io faccio come il suono delle trombe.
– Cosa?
– Tu, domanda.
– Che giorno è oggi?
– È giorno di sbaraglio
– Il tuo è un uso enfatico delle parole, quelle sbagliate, però.
– Non lo so, io tengo chiaro.
– Allora, ricominciamo da capo, tu stai a distanza?
– Distanza è difficile concorrenza.
– Ma cosa vuoi dire?
– Io dico nulla, io tengo chiaro.
– Oggi mi fai impazzire, lo sai?
– Per due e per tre, in fila, cinesi, ho visto.
– Dov’è il senso?
– È noia avvincente.
– Non c’è nulla di convincente nelle tue parole.
– Il tempo decide.
– Qui il tempo divora.
– Neutralizza, appena possibile.
– Cosa?
– Evade per restare. Infetta è la simmetria del silenzio.
– Ma dov’è la tua testa?
– Assenza è temporanea, nessuno l’afferra.
– Hai qualche problema, chiamo tua madre.
– Le mamme sono tutte belle e tonde come le polene.
– Finalmente una frase compiuta, ha un senso.
– Io tengo chiaro, hai capito?
– Ma chiaro cosa?
– La terza parte del tutto.
– Continuo a non capire.
– Tu sei ontologicamente sciapo.
– Ritorna! Dove sei finita?
– Ho mangiato e tengo chiaro, hai capito adesso?
– Tu fai sesso?
– Io tengo chiaro e tu non puoi spedirlo.
– Però spedirti in manicomio quello sì, ah, sì che posso.
– E che manufatto hai su di me?
– Ti porto chiaro. Capito?
– Allora lo hai visto, lo hai visto anche tu?
– No.
– Allora non tieni chiaro.
– Hai perfettamente ragione.
– La lingua mi si è tutta spiaccicata sulla marmellata.
– Basta! Chiamo tua madre. Pronto? Sì, sono io. No, non si preoccupi, non è successo nulla. Ecco, si tratta di sua figlia, dice cose strane, che “tiene chiaro”. Come? No signora, io non sono ontologicamente calvo.