Avevo un’amica. Che mi ha lasciato a piedi. Così da un giorno all’altro, sparita. E no, non è morta. È viva e sta bene. Avere a che fare con il Ghosting nell’età del proprio tramonto fa quasi sorridere. Non essendo quelli della mia generazione nati nell’era digitale.
Fa ridere, giuro. Vedere gli adulti alle prese con una pantomima (dei poveri) circa i loro figli.
Ah, per chi non lo sapesse, il ghosting è l’equivalente del nostro sparire silenziosamente all’alba senza lasciare il numero di telefono al tizio/a con cui eravamo finiti a letto. Scherzo. Non è così, cioè non solo così.
Ha un senso più ampio, ghosting è diventare un fantasma nella vita degli altri. Sparire. Non rispondere più. Diventare invisibile. Morire tipo agli altri.
Certo, a parole è come una passeggiata. A parole, quasi tutto lo è.
Ma provateci voi a restare improvvisamente monchi di un amico di un’amica così, senza che vi venga portato via dalla morte. Non sto scherzando. Perché restare senza qualcuno a cui hai voluto bene fa schifissimo, no? Cioè ti viene a mancare un pezzo di te.
E però sai mi è successo con un amico che è morto, una decina di anni fa. Avevamo avuto una storia eravamo stati colleghi eravamo stati amici, soprattutto. Poi, insomma sai come vanno queste cose, la vita il lavoro i figli. Ci sentivamo, quello sì, sempre. Gli amici anche a 500 km di distanza, dopo tutto quello che c’è stato, continuano a sentirsi. Gli amici.
Un bel giorno non mi risponde a un sms di auguri di compleanno, lui del segno della vergine. Non mi risponde al telefono. Non mi risponde alle mail. Sparisce. Per mesi, sparisce.
Chiamo un amico comune. E niente, una coltellata. «È morto», mi dice. «Scusami avrei voluto dirtelo prima, ma non ci sono riuscito».
Così, come un bias cognitivo, rielaboro quello che mi è successo con ciò che mi sta capitando adesso con questa mia amica, che mi ha lasciato a piedi dicevo.
Sono passati sette mesi dall’ultima telefonata con la Guia (nome di fantasia), una delle migliori amiche che abbia mai avuto. Alla quale ho permesso di passare al di qua del fossato dei coccodrilli che ho tirato su negli anni. Chi mi conosce lo sa. Cosa significa. Avere un lasciapassare, dico.
Eppure. Qualcosa deve essermi sfuggito. A me, cazzo, che ho la pretesa arrogante di capirle, le persone. Di intuire ben prima di capire. Non so, l’ho sempre fatto, e raramente ho commesso errori di valutazione. Lei però si aggiunge alla mia lista di errori. Mi abbassa la media.
Una cosa per me, imperdonabile. Da maestrina, quale mi dicono di essere.
Essere battuta sul mio terreno migliore. Il Roland Garros delle partite a scacchi.
Hai presente, no? Quando sei ben trincerato e no, non permetti quasi a nessuno di oltrepassare la linea gialla, ripetono persino gli altoparlanti in stazione.
Ecco, io sono quel tipo di persona. Che ascolta. Che c’è. C’è, tipo, quasi sempre. Quel genere di persona. Che azzera il proprio grado di coinvolgimento personale eppure resta empaticamente presente. Questo sono, e lo so.
Il senso di controllo e di guardia è sempre altissimo per quelli come noi.
Sono sempre così presuntuosa nel pensare di capire ogni cosa che poi ogni cosa mi sfugge.
Insomma, dicevo, avevo un’amica. Che mi ha lasciato a piedi.
Che da giugno si è defilata. Non ha più risposto alle mie telefonate ai miei messaggi alle mie mail.
Quindi io, logicamente, rielaboro le mie informazioni personali e penso al peggio.
Cazzo è morta. Altrimenti perché non dovrebbe rispondermi più?
Lo so che pensate che tutti noi dobbiamo e possiamo essere liberi di separarci, di non farci trovare, di non essere onnipresenti. Lo so, si chiama libertà.
E ci mancherebbe, liberissimi tutti di essere liberi. Di mandarsi
a fanculo
e di sparire.
(E di leggere e non rispondere e di bloccare e di andare a cagare).
Nonostante, con un grande sforzo, io accetti che a volte le cose accadano e basta indipendentemente da me, provo lo stesso a tornare sui miei passi, indietro nel tempo. Per capire qualcosa.
Ma sai che c’è?
Che andando indietro ritrovo me, me soltanto. Forse ho disatteso senza volerlo le sue proiezioni. Forse sono venuta meno alle sue aspettative.
Tutti si aspettano sempre qualcosa da me, che io non posso dare.
Forse non ne aveva più voglia di essere mia amica, e basta.
Insomma andando a ritroso ritrovo me stessa.
Della mia amica non c’è traccia.
Come se il suo sparire avesse cancellato tutto ciò che di bello avevo di lei. Succede anche questo. Quando ti incazzi succede. Mi sono incazzata anche quando sono morte le persone che ho amato. Ti incazzi, non puoi farne a meno. Ti incazzi lo stesso, anche se è irrazionale.
Perché succede.
E succede e basta.
Che ci si perde. Di vista.
Negli anni ’90 succedeva tipo sempre. E no, non si chiamava ghosting. Era solo che i numeri di telefono non erano personali e le persone lasciavano le loro case. Traslocavano. E diventavano fantasmi.
Tutti noi siamo stati o siamo fantasmi nelle vite degli altri. In qualche modo.
Chi subisce ghosting non ha niente da recriminarsi. Anzi.
Non sentitevi in colpa per colpe che non avete commesso; non andate alla ricerca dei vostri comportamenti sbagliati, perché 99 su 100 non ce ne saranno; oppure non cercate spasmodicamente nei messaggi nelle mail delle parole che vi sono sfuggite, di cui avreste dovuto o voluto accorgervene e non l’avete fatto.
Vi siete fidati. Siete stati voi stessi.
Mi hanno detto, mentre ieri ne parlavo con amici più esperti di me, che il vento gira. Che le persone si stancano, cambiano e vanno via.
Per me, muoiono.
Ma non fatevene un cruccio.
Chi sparisce senza dire addio, nonostante tutte le migliori intenzioni del mondo, è un codardo. Non esiste parola migliore.
Per chi fa ghosting. Per loro, intendo per i fantasmi, mi restano invece solo parole che si dedicano ai morti.
Guia, che la terra ti sia lieve.
Ti ho voluto bene come un’amica speciale. E vederti morire senza poterti salutare mi ha ferito un casino.
Perché questo succede. Si muore.
E quando si muore non si torna indietro, sai no, tornare indietro non si può.