Le prime luci dell’alba portano con se tutto lo stupore di un nuovo inizio. Ogni giorno è un’incognita che si realizza, e che attraverso il nostro sguardo prende forma. La notte appena trascorsa è stata gelida, come se l’autunno avesse lasciato il posto ad un inverno sempre più prepotente. Ho guardato fuori dalla finestra quel poco che si illuminava con i primi raggi di sole. Un agglomerato di vapore indefinito sovrastava tutto il vicinato.
Il quartiere in cui abito si riempie di gente solo in estate. Durante la stagione fredda ci conosciamo tutti. Gli alberi che costeggiano le strade principali non li ho mai persi di vista. Come se ognuno di loro avesse un nome ben preciso. Quando stacco dal lavoro, giunto all’ingresso del quartiere in cui abito, mi fermo a fissarli. In alcuni casi tocco la corteccia umida del tardo pomeriggio per poi annusarmi le dita. Un profumo inteso si sprigiona, esaltando i miei sensi.
Quando cala la nebbia, il quartiere perde la sua forma. La fisionomia del posto che abito diventa indistinguibile, e con essa svaniscono tutti i tratti che lo rendono un centro abitato. Le case, le strade e gli alberi si nascondono, immersi in un unico e grande cubo bianco. Dalla mia finestra non riconosco granché. Essere dietro ad un vetro o in un altra stanza non ha importanza. È impossibile direzionare i nostri occhi oltre il muro che si erige. Quelle che si propongono sembrano alcune delle scene di The Mist (2007).
Ci sono giorni in cui resto per strada, lontano dalle strade che pochi ormai frequentano. Percorro un sentiero che si estende su per un bosco sempre accogliente. Spingersi al di là di esso vuol dire giungere ai piedi di una collina che sovrasta l’intero paese. La nebbia si stringe attorno agli alberi alti, nascondendo la cima verde che — in piena estate — da lontano si scorge. Nel silenzio del selvaggio avverto i suoni di qualche animale. Prima proviene dall’alto di qualche ramo non molto sopraelevato, poi il fruscio tra le foglie che fanno da tappeto. L’eco dei miei passi si racchiude nel perimetro della nebbia fitta che si dilegua tra la vegetazione.
Non mi pongo alcun problema; non vedo la nebbia come un ostacolo. Mantenendo tutto il resto al di fuori, mi estranea continuamente. Mi ritaglia lo spazio adatto alla mia forma, quello spazio che mi consente di prendere una pausa da quello che più mi assale. Il nemico che ho davanti è falso. In casi come questi la nebbia utilizza le cattive maniere per sbattermi in faccia quello che aggiro per pura pigrizia.
Nella banalità della circostanza raccolgo le mie riflessioni, le mie idee, e mi incammino verso casa. Anche oggi la nebbia ha saputo svelarmi qualcosa che fa parte di me e che ignoravo completamente. Tranquilli, c’è spazio anche per le stupidaggini. Alcuni hanno lo stesso effetto con il mare — l’orizzonte -, altri con la cima di una montagna — raggiunta dopo una scalata che ha tutto un suo significato. Be’, io invece ho la nebbia. È come stare in una stanza in completa solitudine e fare qualsiasi cosa tu voglia.
Aperta la porta di casa avverto tutta l’unicità del momento appena vissuto. Penso all’estate, che rifugi non ha.