This is not Hollywood

Di Irene Caselli

Un viaggio ti cambia, sempre.

Un viaggio cambia le persone che viaggiano, le persone che restano e i rapporti tra di loro.

Mi piace viaggiare, mi piace la malinconia di casa, mi piace la valigia che non si chiude mai, mi piace il jet lag e mi piace la mia paura di arrivare tardi in aeroporto.

Mi piace quando non vorrei mai tornare.
Poi torno e sono felice.
E poi mi prende di nuovo la voglia di ripartire.
Mi piace quando torno tutta stropicciata e ho addosso l’odore dell’aereo.

Ho la fortuna, al momento, di poter viaggiare per lunghi periodi e di solito questi miei lunghi viaggi avvengono in particolari momenti della mia vita, in qualche modo

L’America è la mia India.



Ho intrapreso il mio primo lungo viaggio, da sola, dopo aver perso mia madre. Questo viaggio invece è coinciso con un periodo difficile per me. Difficile perché avevo perso la fiducia nelle mie capacità di giudizio verso me stessa, verso gli altri e nel mio lavoro. Difficile perché improvvisamente mi sono resa conto di dover rinunciare a un mio grande desiderio da sempre. Un classico brutto periodo, pieno di stress, rabbia, dolore e perdita.

Così ho deciso di prendermi questa lunga vacanza, questo lungo viaggio del quale avevo bisogno; non per fuggire ma per fermami e riflettere.

È stato un viaggio di tre mesi attraverso un’America così gigante e così piena di contraddizioni: bellissima e spietata al tempo stesso.



Un lungo viaggio da costa a costa, da grandi e luminose città al silenzio e alla solitudine del deserto. Un viaggio che, solo ora che sono tornata a casa, riesco a capire quello che è stato, quello che mi ha dato.
Una sorta di “Mangia, prega e ama”, anche se potrei benissimo chiamarlo “Mangia, mangia e mangia”, sono ingrassata tanto, troppo.

Un viaggio che mi ha permesso di conoscere e incontrare persone meravigliose, persone che mi hanno fatto sorridere di nuovo.
Persone che mi hanno fatto credere di nuovo nel significato di amore e rispetto. Persone che mi hanno fatto di nuovo credere nel concetto di famiglia e soprattutto nel valore delle parole…


Un viaggio che mi ha permesso di conoscere la parola “integrità” che è bellezza, perché le parole, come la musica, hanno potere e ti cambiano la vita.
Se esiste la parola ne esiste anche il concetto, se una cosa è detta o scritta, esiste.

Vorrei ringraziare ogni singola persona incontrata in questo viaggio, una per una, come non sono riuscita a fare. Soprattutto ringraziare una persona che, con la sua integrità e con la sua pazienza, si è presa cura di me facendomi vedere il mondo attraverso una nuova prospettiva e nuove parole. Grazie Elizabeth.


Ho vissuto a Los Angeles e ho attraversato il deserto della California, del Nevada, dell’Arizona, poi sono salita su un aereo per Nyc e sono ritornata di nuovo sulla costa californiana.

Los Angeles è una non-città.
Los Angeles è un’immensa zona residenziale, dove riescono a convivere sogni e incubi.
Lo senti, lo senti dappertutto… dove pare che alle persone manchi una rete di salvataggio o di protezione. Qui le persone rischiano il tutto per tutto e, se va bene, va bene alla grande e se va male… beh qui arriva l’incubo… non ci sono mezze misure.


Due cose mi hanno colpito: il Tempo, mi sembra passare più velocemente che in Italia, e il cielo che mi sembra più basso… ma a Los Angeles c’è una luce e un tramonto che è unico, non ho mai visto una luce cosi…

Non è certo la Los Angeles dei telefilm, delle commedie romantiche e dei cartoni Disney con cui sono cresciuta, ma è più la Los Angeles di “Mulholland drive” di Lynch o di “The Neon Demon” di NWR, o almeno lo è stata per me.
Ed è si, una città solare, nel senso che c’è sempre il sole e quella luce particolare che non ho mai visto in nessuna altra città ma in contraddizione, nel profondo, è una città dark e oscura.
È una città fabbrica di falsità e quindi di felicità, dove il tuo essere strano e folle è la tua unicità.

Un’amica mi ha detto che Nyc ti definisce, ma a Los Angeles se tu sai chi sei, puoi esserlo…

Forse non so ancora bene chi sono…

City of stars
Are you shining just for me?

City of stars
There’s so much that I can’t see

Who knows?
Is this the start of something wonderful and new?
Or one more dream that I cannot make true?

Las Vegas è piccola, la immaginavo più grande, ma è bella perché è una città in mezzo al deserto.
Ho avuto la fortuna di alloggiare al Bellagio hotel, che è una sorta di istituzione con il suo soffitto di vetro e con il gioco di fontane all’entrata. Non credo di poter dimenticare la stanza meravigliosa e il bagno dell’hotel con tv nello specchio e una vasca da bagno idromassaggio con vista sulla città… Naturalmente dopo il viaggio nel deserto ho fatto un bagno di tre ore.
Se non sei una giocatrice come me, possono bastare due giorni per vistare Las Vegas e le cose da non perdere sono: lo show “O” del Cirque du Soleil, la cena da Spago e la finta Venezia.

Il deserto americano (da Joshua Tree, Mojave, Coachella, Death Valley, al Nevada e Arizona) è spettacolare e immenso, triste e pieno di vita al tempo stesso.
C’è qualcosa di inspiegabilmente artistico nel modo in cui il paesaggio cambia in colori e vegetazione… e capisco perché sia stato meta spirituale di artisti, visionari, vagabondi e sciamani… ed è inaspettatamente pieno di arte (musica, cinema, teatro, arti visive).


Una menzione particolare va alla splendida Palm Spring, cosi retrò – chic che potrei viverci…


New york City è il cuore e la famiglia, sempre. La mia seconda casa. Non c’è nulla al mondo come Nyc.


Vorrei raccontare anche di una piccola piccolissima storia, che mi ha colpito molto.
Nel deserto della California, in mezzo al nulla in una cittadina di dieci abitanti, c’è un teatro dell’Opera.
Nel 1967, una ballerina di Nyc, Marta Becket si innamorò di questa cittadina, quando la sua automobile ebbe un guasto proprio nelle vicinanze.
Questa ballerina decise allora di costruire, proprio nella cittadina in mezzo al deserto, una Opera House, un teatro dell’Opera, dove per decenni ha intrattenuto i pochi abitanti, i curiosi e i turisti in spettacoli di danza e mimo.
A volte danzava da sola, senza spettatori, cosi decise di dipingere alle pareti del teatro il suo pubblico. Marta dipinse il pubblico che immaginava avrebbe assistito ai suoi spettacoli: nobili, zingari, suore, persone normali, artisti, gatti…
Ho sempre pensato che l’arte è di tutti e, forse, deve averlo pensato anche lei.
Marta purtroppo è scomparsa due anni fa, a 92 anni, ma il suo teatro è ancora meta di visite guidate e di spettacoli.

La sera prima della vigilia di Natale ho assisto a uno spettacolo di canzoni natalizie nella sua Opera House. Lo spettacolo è stato bruttissimo, ma l’atmosfera e il motel vicino credo che non li dimenticherò mai… originalità da vendere, persone eccentriche e un paio di fantasmi che vivono all’interno del motel.

Eravamo circa 30 persone allo spettacolo. Io ho parlato con un uomo che veniva da O.C. solo per rendere memoria al teatro e a Marta. Lui era cresciuto in quella cittadina e grazie a lei si era avvicinato all’arte.

Mi chiedo se sia stato il destino che ha fatto fermare quella macchina della ballerina lì, in quella cittadina di dieci abitanti in mezzo al deserto e ho iniziato a pensare che no, non ho mai creduto nel destino. Vorrei crederci, davvero. Ma ho sempre pensato che siamo noi che creiamo il nostro destino e la nostra vita cambia in base alle nostre scelte e questo ci regala momenti di grande gioia o anni di rimpianti.


Ho passato gli ultimi mesi chiedendomi cosa sarebbe successo se avessi deciso diversamente, con più saggezza. E senza fare così tanti errori… Poi ho pensato a Marta che danzava da sola in mezzo al deserto, con un pubblico che si era disegnato e immaginato… e allora forse l’unica cosa da fare è danzare… senza pensare… nel deserto…

Chissà.


Un ringraziamento speciale anche ad Alessandro Michele di Gucci, per avere creato una collezione cosi strana e cosi in voga a Los Angeles, che in tuta, giacca jeans e pigiama ero sempre quella vestita meglio.


Tempo di lettura: un po’
Luogo: scritto in volo e al volo
Errori grammaticali e “sgrammaticali”: perdonatemi
Canzone: First Aid Kit – America


Sometimes you leave home to find one.

It takes courage to go there.