Sempre più si parla di scritto autobiografico. Negli ultimi tempi, e in particolare dagli inizi del ‘900, è divenuto uno dei generi maggiormente diffusi all’interno del filone della non fiction — sulla non fiction c’è un immenso dibattito in atto, meglio sorvolare.
Basti pensare ai diari di guerra, pubblicati in maniera esponenziale in seguito ai due conflitti mondiali. Oltre a quest’ultimi, anche le testimonianze ed i memoriali dei prigionieri deportati nei campi di concentramento occupano un gradino di tutto spessore nella letteratura. Ad esempio, tra gli autori italiani troviamo Primo Levi che, con il suo Se questo è un uomo (1947), ci ha mostrato una realtà completamente radicata nel terrore della prigionia nei lager nazisti.
Tralasciando le motivazioni che hanno ispirato i vari autori, scrivere in prima persona della propria vita è ormai un evento ben sdoganato — nonostante entrambe abbiano lo stesso oggetto, l’autobiografia è diversa rispetto alla biografia perché una la scrive l’autore stesso, l’altra invece la scrive un autore estraneo ai fatti servendosi di documenti e informazioni reperiti attraverso un’attenta ricerca.
Quasi tutti si sono immersi nell’atto di mettere su carta le proprie vicende, i sentimenti, e gli stati d’animo scaturiti in un determinato periodo di tempo della loro vita. Sia attraverso la forma romanzesca, sia quella saggistica, gli scrittori hanno ceduto al richiamo del “versa i contenuti della tua mente sulla pagina che hai davanti”.
Al di là dell’autobiografia come memoriale di eventi tragici legati alla guerra, troviamo anche opere di autori decisi a mettere nero su bianco le proprie nevrosi, le proprie turbe psichiche, rendendo l’atto dello scrivere una pura pratica terapeutica. Numerosi sono gli scrittori che hanno pronunciato la fatidica frase «scrivere mi fa star bene».
Scrivere un’opera nata da vicende vissute in prima persona, aiuta a rinvenire i tratti nascosti che ad una prima analisi risultano assenti. Attraverso l’autobiografia ci si mette a nudo se stessi, provocando poi quel piacere legato alla scoperta di particolari rimasti inconsci fino a quel momento.
Mettere su carta la propria vita è ritenuto un atto liberatorio, al di là del fatto che determinate opere diventino successivamente pietre miliari della letteratura. Come ignorare i diari degli scrittori — nella maggior parte dei casi — che racchiudono alcuni dei passi fondamentali che hanno portato alla nascita di un’opera precisa? Scoprire questi tasselli fa parte del processo di conoscenza degli scrittori che più amiamo leggere. I diari di Franz Kafka, di Virginia Woolf, o come quelli più discussi di Anais Nin, hanno aiutato i lettori a costruire esaustivi quadri generali sui loro autori preferiti, alimentando la passione e l’ammirazione nei loro confronti. Nel caso della Nin, a chi non piacerebbe conoscere i retroscena del rapporto intrattenuto con lo scrittore americano Henry Miller a cui parte della sua produzione è legata?
Verrebbe ora da chiedersi: come possiamo comprende quanto un’opera autobiografica sia vera o meno? Certo non ci sono dei chiari riferimenti a cui attenerci.
Come ha scritto Mariateresa Pazienza nel post precedente, Philippe Lejeune ha teorizzato il cosiddetto patto autobiografico: l’autore manterrà l’impegno nell’essere sincero nella sua opera, mentre al lettore non resterà altro che fidarsi ciecamente dello scritto.
Bene, ma che durata può avere un simile patto, ad esempio, nei confronti di scrittori fuggenti che amano destreggiarsi tra vero e falso, tra finzione e realtà? Sappiamo benissimo quanti di loro preferiscono prendersi gioco dei lettori: spacciare un’opera di pura invenzione per una fedele alla realtà ha il suo dannato fascino, inutile negarlo.
Tutto sommato, alcuni preferiscono mettersi alla prova privando la propria vita dal peso del mantener segreto un avvenimento, altri invece trattengono tutto tra le mura del proprio ego. Delle volte svelarsi potrebbe avere l’effetto contrario e quindi abbattere l’aurea affascinante di cui ci si è rivestiti. E molti di loro ne sono consapevoli. La figura dilagante dello scrittore rude, virile, sempre pronto a saltare di donna in donna, diametralmente misogino, potrebbe risentirne se dovesse venir fuori un particolare da vecchio mammone.
Lasciando per un attimo il mondo degli autori affermati, la pratica autobiografica è largamente diffusa anche tra i “comuni mortali”. Gente della porta accanto che ama scrivere al solo scopo di ritrovarsi.
Insomma, questa pratica non fa altro che accrescere la consapevolezza di essere all’altezza di qualcosa verso se stessi.
Tenere un diario, scrivere di una giornata appena trascorsa, di una nuova conoscenza fatta, aumenta la capacità di conoscersi e riconoscersi nelle pagine che ci si appresta a scrivere. Una riscoperta di se stessi che mira a fortificare i gradi di stima nei propri confronti.
Alla classica forma del diario tenuto chiuso da un piccolo lucchetto, negli ultimi tempi è sopraggiunta quella dei blog. Tenere uno spazio web in cui narrare le proprie vicende, ha incrementato lo scambio di pareri tra gli utenti grazie alla possibilità di poter commentare ogni singolo post.
In più, al giorno d’oggi, non è da sottovalutare anche un altro punto: diversi sono coloro che optano per la forma di scrittura a puntate, applicando cosi la tecnica romanzesca al diario/blog.
Io vi consiglio di prestare attenzione. Tra queste persone — pardon, utenti — potrebbe nascondersi un futuro autore di tutto rispetto, oppure un bestsellerista da strapazzo — e qui le grandi case editrici ci marciano parecchio.
Non rimane che constatare quanto l’autobiografia sia ovunque volgiamo il nostro sguardo, riempiendo pagine e pagine, da quelle cartacee a quelle digitali. Diversi — chi per mestiere, chi per puro piacere — sono scrittori. Se da un lato calano le produzioni di opere autobiografiche, dall’altro invece aumentano i diari/blog. Il tutto condito con tanto di social network.
In conclusione, rimane solo la domanda che mi ponevo in precedenza a cui non esiste risposta certa: quanto c’era di vero nell’ultima opera autobiografica che ho letto? Chi lo sa. Resto del parere che è proprio questa una delle particolarità che rende unica la letteratura, e con lei i suoi indiscussi protagonisti.