Michele Palazzo
Originario ravennate, classe 1968, laureato in architettura, residente a New York City dal 2010. Le fotografie di Michele Palazzo sono bellissime, potenti, cariche di una compostezza bilanciata dal dinamismo che ruota attorno alla street photography; corpose di un colore vivido in equilibrio con la luminosità che le avvolge e in netto contrasto con la vita che le abita: un ammasso in subbuglio, in moto perpetuo. Raccontano un presente che “sai” che è in qualche modo ancora in corso, da qualche parte, lontano, oltreoceano. Sono contemporanee al massimo grado, anzi post-contemporanee. Raccontano di un’America a cavallo tra quella fuori dal tempo della poetica Beat alla Kerouac a quella che traspira dalla grande letteratura di DeLillo, senza tralasciare i caratteri del “romanzo verità” delineati dal maestro Capote: non a caso il titolo della mostra è omaggio evidente all’omonimo libro dello scrittore di New Orleans.
Si è chiusa da non molto la prima personale di Michele Palazzo, ospitata dal 29 novembre 2017 al 12 gennaio 2018 presso gli spazi espositivi della Still Gallery di Milano, a cura di Denis Curti e Maria Vittoria Baravelli. Abbiamo posto qualche domanda al diretto interessato per sapere come ci si sente, nella veste di fotografo, in una realtà che sembra, più che mai, costituita in larga parte da immagini, come se le stesse fotografie, alla stregua di Atlante, reggessero il mondo nelle sue fondamenta.
I: L’avresti mai immaginato? Sei un architetto ravennate che vive a New York e si occupa di design, con una grande passione, quella per la fotografia. E, alla vista dei tuoi scatti, mi vien da dire che riesci molto bene nel tuo “hobby”. Allora ti chiedo: quando e come è nata questa passione e cosa, nel tempo, l’ha fatta evolvere fino a toccare un punto così egregio?
Michele Palazzo: Comincia molto presto, negli anni della mia adolescenza alle scuole medie. Ho frequentato una scuola media sperimentale annessa all’Istituto d’Arte per il Mosaico di Ravenna, e a differenza delle altre scuole medie tradizionali avevamo molte più ore di materie artistiche, tra le quali fotografia. Erano ovviamente gli anni della fotografia analogica e la magia di svilupparsi le foto da soli in camera oscura mi ha completamente rapito. Da quel momento in poi, con periodi più o meno intensi, la fotografia non mi ha più lasciato. Mi considero privilegiato perché la fotografia è per me una forma di espressione personale e non sono costretto a scendere a nessun compromesso o a esigenze di mercato. Per me la fotografia è una medicina quotidiana.
I: Dove comincia il mondo per te e quanto New York è rappresentativa di un certo tipo di mondo? L’America che racconti, delle strade, delle persone, delle luci, dei colori accesi, mi ricorda l’incipit di Americana di DeLillo, quando l’italoamericano descrive (benché con un piglio molto critico) una città fragorosa con un’immensa folla per le strade. Tu quale New York racconti e come intendi raccontarla, o meglio, qual è il messaggio più profondo che vuoi trasmettere?
Michele Palazzo: New York è stata la città che mi ha fatto ri-innamorare della fotografia, è un esperimento umano in forma di metropoli e riesce a soddisfare la mia curiosità quotidiana per la vita che la attraversa. È una città di 10 milioni di abitanti, tutti o quasi stranieri, che si sentono a casa e che allo stesso tempo spesso e volentieri soffrono di una solitudine grandissima. Mi piace cogliere quei momenti di quotidianità, ogni giorno, quando cammino per le strade fra casa e lavoro e viceversa. Non so se c’è un “messaggio profondo”, ma vi è sicuramente una visione molto personale delle cose, perché New York la si scopre in maniera differente ogni volta che ci si viene a vivere.
I: Nelle tue fotografie raramente il paesaggio è lasciato vuoto, c’è quasi sempre la figura umana, a volte di spalle, lontana, piccola (memore dell’estetica di Edward Hopper?) altre volte in primo piano, che quasi esce dalla fotografia. Da quali fotografi e artisti ti lasci ispirare?
Michele Palazzo: Per tanti anni, durante i miei studi in università, cercavo e fotografavo solo architetture nella loro forma più pura, o almeno ciò che io consideravo tale o che i grandi maestri come Basilico mi avevano insegnato; poi con il passare del tempo mi sono stancato di quella sterilità e ho iniziato ad avvicinarmi timidamente al ritratto per ritrovare la componente umana che avevo lasciato fuori per tanto tempo e finalmente sono approdato alla street photography dove ho trovato il linguaggio più vicino alla mia sensibilità. Ora credo di essere in una fase in cui cerco di combinare la figura umana e l’architettura, o meglio il paesaggio urbano. Di artisti e fotografi che mi ispirano, probabilmente ce ne sono moltissimi: ho sempre avuto una grande curiosità visiva e una pessima memoria per i nomi. Per cui le mie influenze sono le più svariate e sarebbe riduttivo citare solo qualche fotografo o artista. Ne scopro nuovi e vecchi ogni giorno, preferisco mantenere vivo questo senso di continua sorpresa e scoperta.
I: La mostra organizzata alla Still di Milano è un progetto ambizioso e interessante. Com’è nata l’idea e come è stata sviluppata praticamente negli spazi espositivi?
Michele Palazzo: Nel gennaio 2016 durante una delle più grandi tempeste di neve abbattutasi sulla East Coast ho fatto una foto del Flatiron avvolto dalla neve che in pochi giorni è diventata virale e condivisa dalle testate giornalistiche di tutto il mondo… ecco, in quel momento ho capito che si era aperta una finestra di visibilità per la mia fotografia e ho iniziato a prendere le cose un po’ più seriamente. Sempre a New York, quasi per gioco durante un incontro fra amici fra i quali c’era anche la mia attuale curatrice Maria Vittoria Baravelli, si ipotizzava quasi per scherzo la possibilità di fare una mostra in patria (ne avevo fatte alcune a New York) ed eccoci qua con la STILL e Denis Curti a Milano: non potevo chiedere di meglio! La scelta degli scatti è stata fatta insieme a Denis e Maria Vittoria cercando di ridurre quella che è l’anima di New York ai miei occhi… un esercizio davvero arduo da sintetizzare in venti scatti. Senza l’aiuto dei due curatori sarebbe stata per me molto difficile.
I: Non si può “ridurre” il tuo splendido corpus fotografico a una sola immagine – mi riferisco ovviamente a quella del Flatiron Building newyorkese immerso nella tempesta di neve del 23 gennaio 2016, che ha fatto il giro del mondo – ma se tu volessi in qualche modo scegliere uno scatto rappresentativo del tuo modo di intendere la fotografia, quale sceglieresti?
Michele Palazzo: Appunto, davvero difficile! Sono affezionato a varie fotografie per diversi motivi a volte non prettamente estetici, ma perché legati a momenti della mia vita newyorkese. Se dovessi scegliere uno scatto rappresentativo della mia fotografia opterei per alcuni degli scatti del 2011, come quello dei due personaggi dietro la vetrina di Lupe’s quando per me New York era una scoperta recente, o ancora la signora in giallo nel parcheggio che aspetta il marito sotto la neve (The Wait #1 e #2) che è una piccola storia d’amore che si è sviluppata sotto i miei occhi a loro totale insaputa. Molte altre, ma qui mi dilungherei troppo. Ogni foto è una storia.
I: Sei ravennate anche se attualmente vivi a New York, l’Emilia Romagna ci ha regalato innumerevoli grandi fotografi. C’è qualcuno in particolare a cui sei legato maggiormente?
Michele Palazzo: Ci sono fotografi incredibili come Alex Majoli, Luigi Ghirri, Paolo Roversi che sono ormai universalmente riconosciuti, o fotografi come Ulisse Bezzi che sono per me scoperte recenti; infine un sacco di giovani bravissimi che hanno voglia di fare e sperimentare. Credo sia per la fotografia un momento incredibile con i social media e la tecnologia in continua evoluzione. C’è chi dice che ora sono tutti fotografi, in maniera negativa. Non penso sia completamente vero perché è si vero che fare una foto bella è più semplice, ma avere qualcosa da dire è ancora una cosa molto difficile. Credo sicuramente che ci sia spazio per tutti, ognuno può approcciare la fotografia in modi completamente diversi e originali e ben venga questa varietà.
Le fotografie presenti nell’articolo sono state scattate a New York da © Michele Palazzo.
STREETFAUNA
Si ringraziano per la disponibilità Alice Tassan, Still Gallery Milano e Michele Palazzo