Zamboni e Brondi raccontano quell’avventura a parole, tu tramite delle immagini bellissime. Avresti voluto aggiungere altro al racconto, oppure ti senti di aver detto tutto tramite quegli scatti?
«Credo di aver “detto” tutto quello che ho provato in quei quattro giorni»
Piergiorgio Casotti
© Piergiorgio Casotti
C’è una salina che sembra un iceberg, dei cartelli stradali che sbucano dalle erbacce ai margini della palude e indicano Rovigo, Mantova, Venezia, il Po. Le indicazioni spingono l’osservatore disperso a ricollocarsi in un contesto spaziale definito: siamo in Italia anche se pare di essere altrove. Altrove per indicare un quadro indistinto, di coordinate vaghe e imprecisate. Dispersi, alla deriva, guardando immagini di non luoghi, potenti, bellissime, sospese in un nulla indolente, accomodante, terra di presenze leggere, fuochi fatui, anime dei morti.
Ma i cartelli parlano chiaro e le voci narranti ci riportano con forza alla realtà.
Di nuovo catapultati nell’orizzonte dell’essere. Che peccato. Era un posto così bello, quello, per viverci e morirci. Ma «adesso siamo qui, passati dall’essere assaliti da troppe cose contemporaneamente al non essere assaliti da niente» canterebbe Brondi, malinconico ferrarese. Stazioni di benzina fatiscenti che evocano una qualche idea di postmodernità e ricordano le atmosfere di DeLillo. Paesaggi nebbiosi e allucinati lontanamente fraterni nella loro dissoluzione a un improbabile idea di Sturm und Drang nordica: tempesta ed impeto nei nostri cieli settentrionali. In questo senso spicca una fotografia che è terribilmente vicina a Rhein II di Andreas Gursky.
© Piergiorgio Casotti
Ci sono, poi, in un viaggio inimmaginabile ma progettato con minuzia e condotto veramente, due musicisti e un fotografo. È strano, però: il fotografo cattura il paesaggio con la sua macchina fotografica, mentre i pescatori intorno pescano, gli uccelli volano e i pesci nuotano, ma i musicisti non cantano quasi mai, scrivono, i musicisti scrivono e diventano quasi poeti, nelle loro considerazioni liriche, nei loro pensieri abbagliati, nello splendido entusiasmo di chi fa qualcosa di inusuale, illegale o mai sperimentato prima. Felici come bambini, Vasco Brondi e Massimo Zamboni, navigano acque inesplorate e sono, come recita il titolo, Anime Galleggianti.
© Piergiorgio Casotti
© Piergiorgio Casotti
Tranquilli, spensierati, attenti. Più che un viaggio propriamente detto, sembra un abbaglio onirico. Somigliano a etnografi che stilano il loro diario di bordo. Come Virgilio e Dante all’Inferno, senza visioni cupe, ma con tanta nebbia e sparute malinconie. La rotta è stabilita e nel cammino su una strada acquatica, fluida, incontrano gente e si confrontano con le loro storie, le loro vite. Raccontano di luoghi che sembrano sospesi nel loro apparire nella forma di visioni fuggevoli, tanto surreali e fiabeschi che forse era necessaria la fotografia di Piergiorgio Casotti per darne testimonianza autentica.
© Piergiorgio Casotti
Il viaggio, racconta Casotti, «programmato fin dall’inizio da tutti e tre partendo da uno stimolo di Zamboni, era stato pensato sia per parole che per immagini».
Il fotografo reggiano dice di aver già collaborato diverse volte con Zamboni, «per un mio documentario Arctic Spleen, per il quale Zamboni ha composto la colonna sonora e poi altre volte con spettacoli e reading musicali».
Quando gli chiediamo com’è stato viaggiare con due musicisti su un canale deserto, cosa gli ha lasciato quel viaggio, se un ricordo particolare, un qualche insegnamento, risponde che «il viaggio è andato benissimo, silenzioso. Ci siamo trovati in grande sintonia, concentrati a lasciarci andare in un luogo ovattato che odorava di tanti anni fa. Ho rivisto una pianura che pensavo persa, quando andavo con mio padre a pescare sulle rive di quei canali. Nonostante fossimo tutti e tre emiliani ripercorrere quel canale infossato tra alte sponde ci ha fatto riscoprire un luogo ed un’umanità nascoste dalla frenesia industriale e quelle sponde alte ci hanno fatto immaginare la vita oltre la riva».
Alla fine, la domanda più impegnativa, alla quale risponde con una calma lucida e una chiarezza memore dei suoi scatti: che cos’è per te la fotografia? «Sono da sempre attratto dalle dinamiche della società umana e uso la fotografia come mezzo per esplorare il mondo e me stesso allo stesso tempo. Uno sguardo privilegiato che mi porta ad interpretare ogni storia attraverso un forte coinvolgimento personale ed introspettivo. I miei lavori cercano di affrontare realtà, luoghi e persone utilizzando un linguaggio e una narrazione non convenzionale, intima, impulsiva, empatica».
© Piergiorgio Casotti
Il libro, una sorta di compendio ad un immaginifico esperimento, è compatto e ben organizzato: diviso in capitoli, quattro per la precisione, due scritti da Zamboni e due da Brondi. Ognuno racconta la propria prospettiva, le storie sono cariche di riferimenti letterari e filosofici: Mark Twain, Bacone, Ansel Adams, Jared Diamond, Calvino, Celati, Brodskij, Omero, la Dichiarazione d’Indipendenza Americana. La narrazione è potente, coinvolgente.
Si racconta di come è nata l’idea di viaggio, di come, una volta sul canale, tutti i loro sensi si siano ampliati, capaci di percepire meglio i colori, gli odori, lo sciabordare dell’acqua, le grida dei gabbiani, il silenzio dei pescatori. È un cambio di prospettiva rispetto alla quotidianità, un rovesciamento, sono in un canale sotto il livello delle strade e il loro punto di vista è quello delle inquadrature contre-plongée, per utilizzare un linguaggio cinematografico, «noi procediamo sotto il livello della strada, dalla nostra prospettiva le case hanno i tetti e le finestre ma non si vedono le porte. Vediamo a metà, parliamo di cose nostre, di lupi e di vivere in mezzo al niente», scrive Brondi.
© Piergiorgio Casotti
Ci sono Ghirri ed Herzog a far loro compagnia, una compagnia solo immaginata. Per il resto sono soli. Ma il viaggio è proprio la ricerca di un luogo che dia «respiro alle proprie solitudini» (Zamboni), un luogo che tutti, in fondo, hanno, da qualche parte. Può essere fisico o solo immaginato, può avere le sembianze di un sottoscala, di una finestra che apre a colline lontane, boschi, sentieri di montagna, o essere solamente un luogo della mente, un sogno, un’illusione, un quadro, una fotografia, una melodia indimenticata. Un profumo, un sapore, un ermo colle, come insegnato da Leopardi e Proust.
«La prima sorpresa è che siamo soli. Soli, solo noi, il canale è vuoto, largo una cinquantina di metri da sponda a sponda, lungo che non si vede la fine, e vuoto. Insperabilmente, sconsolatamente, inspiegabilmente vuoto»
Zamboni
La solitudine riguarda i viaggiatori, coinvolge la natura intorno. Permea il paesaggio, le giornate lunghe, le ore dense, e diventa, misura del tempo e dello spazio a loro volta divenuti, concetti informi, leggeri come spiriti, come anime, per sempre, galleggianti.
Musiche per accompagnare la lettura
– Nel mattino estremo, Massimo Zamboni
– Rivolta Cranica, Massimo Zamboni
– Santa Maria elettrificata, Massimo Zamboni
– Io sto bene, CCCP (solo se la lettura annoia e procede lenta)
– Blues del delta del Po, Le luci della centrale elettrica
– La Terra, l’Emilia, la Luna, Le luci della centrale elettrica
– Nel profondo Veneto, Le luci della centrale elettrica
– Viaggi disorganizzati, Le luci della centrale elettrica
© Iole Cianciosi