Cerco di ricordare gli assembramenti della mia vita, non tutti eh. Solo quelli belli densi dico.
Penso alle calette minuscole della Corsica quest’estate. Tutti ammassati su quei minuscoli lembi di spiaggia, tra le scogliere a picco sul mare. Penso alle strade della mia città, dove bestemmio per scansare e non investire la gente in bici. Gli assembramenti dopo il Comics alla stazione di Lucca per prendere il penultimo regionale per tornare a Firenze, che più pieno è impossibile pensarlo un treno.
Penso all’Italia che vince i mondiali tutti in piazza a Bologna in uno degli assembramenti più assurdi di gente sopra i tettucci delle auto o sotto i portici a far balotta, che ho perso tutti i miei amici nella ressa generale della festa ma ne ho incontrati mille altri di amici, quella sera. Penso al primo maggio a Roma una vita fa e il primo maggio a Mutonia l’anno scorso. Al concertone dei Fugazi, a fine millennio scorso, a quella folla di ragazzi schiacciata dentro il CPA di viale Giannotti. Penso alle Street Parade ai Pride ai Teknival. Al caldo appiccicoso, all’odore della pelle.
Penso a tutte le volte che mi sono persa e ritrovata. A tutte le persone che ho incontrato. Alle mattine con gli occhiali scuri a parlare di arte e filosofia accerchiata da persone mai viste mai, ma tutti condividevamo qualcosa oltre all’avere ballato insieme tutta la notte. Era come una magia.
Penso alle feste casalinghe in millemila pigiati assembrati in quelle case a limonare in terrazzo mezzi nudi o a tuffarsi vestiti nelle piscine, quando c’erano. All’estate a Murcia tutti tombati nel padiglione a dormire come dio solo sa chi. Penso a Parigi a quell’alba nella distesa di persone. Alla prima volta in metro che non respiravo perché così tanta gente in un luogo così stretto io non l’avevo vista mai.
Penso al funerale glorioso con tutto il paese in carovana in lutto e le strette di mano e i baci e penso all’amore in quella stanza minuscola dal soffitto verde dietro piazza Maggiore, che così avvinghiati e felici non so se io lo sarò mai più. Con la tizia delle pulizie che entra in un momento topico che non sapevo potesse succedere nella realtà e, invece, cazzo succede. E penso che mi manca un casino pogare sotto al palco come facevo da ragazzina, che mi manca persino la notte che mi sono rotta il naso con una gomitata di quel punk, Valerio, dritta in faccia.
Mi manca la furiosa ebbrezza di questa libertà negata in questa strana dittatura senziente globale in questo lockdown da secondo millennio. Lock e Down sembrano i nomi dei due lupi che rincorrono il Sole nel Ragnarok, nel finale dell’apocalisse nordica. Skoll e Hati.
E niente, non credevo che l’avrei detto, io che soffro di ansia sociale dacché ho memoria di esistere ecco che invece lo sto dicendo, lo sto dicendo e che cazzo
mi mancano le persone.
L’ho detto.
Mi mancano le persone
con il viso scoperto
che mi sorridono e che mi abbracciano. E che non hanno paura.