Author: Redazione

Kurt e la mia infanzia

Da bambina trascorrevo molto tempo nella casa dei miei nonni paterni. I fratelli di mio padre sono molto giovani. Considerate che il suo fratello più piccolo ha solo sei anni in più di me. Tutti nella famiglia hanno sempre avuto una passione sfrenata per la musica rock. Nelle due camere comunicanti c’erano sempre pile di vinili, musicassette e cd. Appeso al muro di una di esse c’era un bellissimo poster di Bob Marley. Nell’altra invece ricordo molto bene un poster dei Rage Against The Machine. Insomma, sono cresciuta ascoltando buona musica. I miei zii la domenica, prima di pranzo, si sedevano sul divano nella sala imbracciando una chitarra acustica e strimpellavano spesso i grandi classici. In quella camera c’erano due chitarre acustiche, due chitarre elettriche e un basso, insieme a una quantità indefinibile di plettri. Oltre a suonare per noi, due dei miei zii avevano una band, gli Area 51. Abbiate pazienza, era la fine degli anni ’90. Una volta mia zia, l’unica sorella di mio padre, mi fece il frisé, quella orrenda piastra con …

Amore, non dirmi che siamo pazzi. Guardami

 di Chiara Gandolfi Io sono ossessionata dagli occhi: in terza elementare pensavo di diventare cieca perché avevo messo gli occhiali. Poi sono arrivata ad avere mancamenti di diottrie fino a 8 e ho capito tante cose. Per esempio che la scuola, aprendomi gli occhi su molte questioni della vita, gli occhi me li stava rovinando. Oliver Sacks è uno degli uomini che ho amato e, segretamente ma non troppo, continuo ad amare anche se non c’è più: un neurologo delle storie che mi ha avvicinato alle patologie della mente attraverso i casi dei suoi pazienti. Lui stesso soffriva di prosopagnosia, una condizione neurologica che gli impediva di riconoscere i visi delle persone, anche quelle care, anche la sua, davanti allo specchio. Era cieco da un occhio (aveva fatto la radio contro un melanoma) per cui potevamo amarci ancora di più, capirci nel profondo (vederci, un po’ meno). Nel suo saggio The Mind’s Eye, dove c’era anche Sue Barry che vede il mondo con un occhio alla volta — di lei però non sono stata gelosa -, ripercorre …

La speranza di chi sogna addosso, di Dea Urovi (EDITORIAL)

26Bio: Mi chiamo Dea Urovi, ho 16 anni e sono un’artista. Vivo a Londra ma sono nata in Italia in un piccolo paesino nelle pianure della Romagna. Vivendo a Londra ho capito che l’arte della fotografia e l’aiutare le persone sarebbero stati i due motivi per cui mi sarei svegliata la mattina con la speranza di chi sogna addosso. Uso la fotografia come modo per raccontare le mie giornate e ciò che voglio ricordare di più di questi anni; i momenti belli ma anche quelli brutti che mi hanno aiutato a crescere e diventare la persona che sono ora. I momenti che tengo più stretta a me li vedete in queste foto. Osservate con il cuore, non gli occhi. Breath life Peter Pan Constellations Fleecy dreams Mellow Run towards the sun Never-ending Baby Blues Night tales Your hands in mine Dea Urovi: Instagram Tagged in Adolescenza, Dea Urovi, Editoriale Fotografico, Fotografia

Libri in spiaggia e luna alta in pieno giorno

La dura legge del libro in spiaggia, una lunga storia fatta di bestseller che si inseguono tra le onde e i granelli di sabbia, sotto gli ombrelloni di attenti lettori che attendono — a piedi nudi sulla sabbia rovente — che il bagnino svogliato apra la sdraio a fasce gialle e verdi. Scelgono la migliore delle posizioni da assumere senza dimenticare di riproporre quella più consona al periodo e via, pagina dopo pagina, arrivare alla tanto agognata fine. Ma davvero esiste un ipotetico libro per l’estate? Davvero uno vale più dell’altro e merita di essere sfogliato in riva al mare? Romanticismo a parte, ho passato gli ultimi due giorni a cercare la risposta giusta a queste domande, indagando qua e là sul motivo per cui qualcuno considerato tra i grandi agitatori culturali di questo paese stabilisce qual è o meno il romanzo da portare con sé in spiaggia, insieme al telo e alla crema protettiva — o abbronzante, a seconda dei casi. A questo punto credo sia necessario andare oltre la trilogia di E.L. James e i suoi strabilianti risultati ottenuti …

The Floating Dismaland: L’Arte nell’era del suo riverbero mass-mediatico

“In tutto il mondo i musei più importanti si sono piegati alla logica disneyana e stanno diventando essi stessi dei parchi a tema. Il passato, fosse pure il Rinascimento italiano o l’antico Egitto, è riassimilato ed omogeneizzato nella forma più digeribile. Senza speranza di fronte al nuovo, ma delusi da tutto quello che non ci è familiare, noi ricolonizziamo tanto il passato quanto il futuro. La stessa tendenza si coglie nei rapporti personali, nel modo in cui ci aspettiamo che la gente confezioni se stessa, le proprie emozioni e la propria sessualità in forme attraenti e di richiamo immediato.” James G. Ballard Se nell’era della sua riproducibilità tecnica l’opera d’arte perde l’aura necessaria a consacrarla tale, oggigiorno, parrebbe che il riverbero mass-mediatico che l’accompagna costringa la critica a non escludere dall’analisi, una sociologia della fruizione. Il soggetto principale, ovvero il pubblico, attraverso il quale l’opera d’arte e nello specifico le installazioni artistiche si completano, diviene così parte necessaria ed elemento d’indagine esso stesso. Una installazione senza pubblico non è arte, così come l’ambiente in cui …

Le coppie che aspettano

Jana Romanova è una fotografa russa nata nel 1984 e laureata in giornalismo. I suoi progetti fotografici sono incentrati sul senso di comunità e di identità collettiva che emergono dai territori dei Paesi post-sovietici e dai volti pieni di storie che lei immortala. Una ventata di freschezza e morbidezza è data da un lavoro che mi ha colpito in particolare, chiamato waiting: come dormono le coppie quando aspettano un figlio? Ebbene, è un tema originale perché mostra in modo speciale quei futuri genitori nei loro letti, tra la spontaneità e la naturalezza delle prime luci del mattino. L’artista era ovviamente presente nelle loro stanze, accolta nel calore delle loro case anche se estranea, come lei stessa spiega, da una grande fiducia. Non penso che siano stati scatti impostati, anzi immagino Jana che verso le ore 6 si alza dal divano del salotto su cui dormiva, senza far rumore entra nelle loro stanze e sale su una scala, per cogliere quei momenti così tanto traboccanti di intimità. I corpi, probabilmente esausti, riposano ancora, alcuni sono abbracciati, …

Relazioni e automatismi: Alberto Moravia va in scena

Alberto Moravia, simbolo indiscusso della letteratura romana, figura di spicco che seppe coniugare il romanzo italiano, oltre all’opera di Italo Svevo, con i risvolti della psicoanalisi e le sue lunghe diatribe — interne ed esterne. Moravia, lo scrittore che a ventidue anni diede alle stampe il suo celebre Gli Indifferenti (1929), scuotendo i lettori per via della narrazione così complessa, tanto da far suscitare qualche dubbio sulla sua vera età. Moravia, lo scrittore che in un’intervista di qualche anno fa Dacia Maraini definì il vero padre dell’esistenzialismo, ideologia filosofica elaborata da Jean Paul Sartre nel corso dei suoi lavori e venuta fuori dal romanzo La Nausea (1938). Biografie e meriti si scontrano come meglio possono, secondo le loro tesi migliori, fino a fortificare le vite di autori là dove le loro opere sembrano non riuscire a intensificare ulteriormente le fondamenta sparse per i loro libri. Quello che ho avuto modo di incrociare tra le pagine de L’Automa (Bompiani, 1962) è un Moravia che mette al centro della sua narrativa il terreno fragile su cui si erigono i …

Le tette e la Grande Guerra

di William Dollace Questa domenica sul Monte Stino che capitombola sul Lago di Idro sono stato a visitare le gallerie e gli appostamenti dei cannoni e delle sentinelle dei nostri soldati nella Grande Guerra. Che dire. Le bandiere, le scritte, il silenzio, la maestosità e l’altitudine del luogo hanno sempre un effetto rimembrante su di me, quasi come rebloggare in modo distantaneo su Tumblr. Lo so, che vi sembrerà osceno, questo accostamento fra il digitale alieno e il concreto storico intriso di analogica memoria, ma tant’è, è così. E allora il verde portentoso raccoglie e scopre margherite improvvise, alberi informicati, panchine, e un rifugio imbottito di una Radler magnifica della Dreher. In cima ho fumato un Partagas. Ok, non facciamo pubblicità qui, ma quel che è giusto è giusto. In realtà questo scritto voleva essere serio, un memoriale, un reportage storico di trincea, e si è trasformato in un salto di tappo fra erba e bandiere e cenere sparata al vento. Ho fatto un video e tante foto. Ho raccolto silenzi. Ho disattivato notifiche e intrusioni. …

Frammenti di felicità

Al numero 7 di una via in centro a Torino c’è un grande portone di legno massiccio, un po’ scardinato e che cigola ogni volta che viene aperto. Appena si entra nell’androne, non fai in tempo a sollevare gli occhi che la porta si chiude sbattendo sonoramente alle spalle diffondendo una strana quiete, e tutti i pensieri che prima ti accompagnavano ora si ammutoliscono. Ogni volta mi sembra di essere accolta da un luogo sacro, fresco e silenzioso. La volta di stucco decorata è un po’ scrostata, ma non importa, perché c’è un nido di rondini che attira l’attenzione e mi ricorda quando da bambina al mare andavo a guardare i piccoli appena nati che si rifugiavano sotto una tettoia. Cammino per pochi metri facendo attenzione alle gocce d’acqua che dai balconi cadono, probabilmente da qualche vaso di fiori grondante, e mi dirigo verso le scale con un certo sconforto, l’idea di fare cinque piani senza ascensore è un po’ come iniziare un percorso in montagna e sapere che il programma è di camminare cinque …

Sophie Day e Fuckboy

Il ritratto è un genere fotografico che solitamente riconduciamo al volto e al corpo. Quello che vediamo è il risultato finale dell’interazione tra fotografo e soggetto. Spesso però appare come un insieme di fattori attraverso cui i due elementi attivi della fotografia dialogano tra loro, talvolta anche in modo implicito. Il lavoro della giovane fotografa newyorkese Sophie Day non è il ritratto in senso prettamente fotografico. Il suo progetto Fuckboy è un documentario sugli skateboarders della Grande Mela. Dalle clip che possiamo trovare sul suo profilo Vimeo ci rendiamo conto di quanto a volte la semplicità possa essere d’aiuto alle arti visive. Sophie riprende la realtà che sente vicina a sé, quella composta da adolescenti che cercano in ogni modo di stare a galla, quella dei maschi che danno il nome al suo documentario, i Fuckboys. La scelta del titolo è dovuta a uno stato di Facebook in cui la stessa Day chiede quale sia l’offesa più grande da fare a un ragazzo. Tra i vari little dick, asshole and stuff like that, c’era anche …