All posts filed under: Fotografia

This is a Lie.

But this isn’t truth this isn’t right This isn’t love this isn’t life this isn’t real This is a lie Qualche anno fa un carissimo amico mi ha regalato, durante una delle nostre notti, un libro di fotografie di Dave McKean (illustratore e artista geniale, nonché collaboratore storico di Neil Gaiman). Il titolo del librino è Black and White Lies. Io e il mio carissimo amico ce ne siamo detti di bugie. Senza motivo alcuno, a ripensarci oggi. Ma nelle storie a due non si può mai sapere dove finiscono le verità e dove cominciano le menzogne. Il confine labile delle cose, sempre. A definire. L’ho riaperto oggi quel libro a proposito di LIES. E di botto mi sono venute in mente un po’ di cose. Tipo che dopo avere mentito occorre buona memoria. Oppure che da ragazzina ho mentito circa un tipo bellissimo che avrei limonato seduta stante e invece mi sono ritrovata a essere oggetto di desiderio di buona parte della frangia gaia del liceo. Che ho raccontato a mia madre che ero …

Cotto al dente: Dido Fontana a Miami

utter Gallery, Miami. Ecco dove dovresti essere. A un grande evento, in un luogo spettacolare, con gente intorno che si agita, si infiamma e sorride, gente che ama l’arte e per questo davvero se la gode, in modo non convenzionale. E la musica che tiene il ritmo di Churned, un evento nell’evento — straordinario — diventato ormai un appuntamento imperdibile ogni anno a Miami per l’apertura di Art Basel, fiera internazionale d’arte contemporanea, trasformando la settimana in un mega evento culturale denso e dinamico che esprime stili e tendenze fortemente innovative. Ecco dov’è Dido Fontana. Lì, a Miami. Pronto giusto un attimo prima di quello che indicano le istruzioni (cit.), già il 5 novembre scorso ha inaugurato alla Butter Gallery la sua personale Cotto al dente, frutto di un’in-solita illuminata collaborazione tra Golab Agency, BeArt e Prixartprinting. Gigantesco, Dido Fontana. L’installazione, al solito, sorprendente. Innamorato com’è delle persone e della realtà così com’è, le mette in bella mostra dilatando lo spazio, prendendone quando più possibile, celebrandone sfacciatamente la bellezza. L’esposizione occupa totalmente le pareti della galleria ed è frutto …

Details: Stefania Papagni

Stefania è una ragazza come tante, una giovane donna abituata, da quando ha memoria, a guardare la sua immagine riflessa nello specchio — oltre che in un’altra persona, la sua gemella Alessandra. Come me, come tante altre donne, Stefania trova stereotipi femminili ovunque. Guardando la TV, sfogliando i giornali, scorrendo le timeline dei social network, tutto ciò che rimbalza nella sua mente — e nella mia, non lo nego –, è l’essere ossessionate dal raggiungimento dello stato fisico migliore. E’ tutta una sfida a chi ha meno pancia, a chi ha il naso più piccolo, a chi ha il seno più sodo e via discorrendo. Quando una donna guarda sé stessa riflessa allo specchio, nel suo insieme, non può far altro che scorgere difetti. «Sono brutta», «Ho la cellulite», «Ho un naso enorme», «I miei piedi sono troppo grandi», «Sono troppo bassa». Stefania dice: «Ogni volta che guardo la mia immagine riflessa trovo così tanti difetti tutti insieme che a volte non riesco a vedere nulla di buono». Sì, ma quali sono i termini di paragone che non ci …

Oltre il blu: Asia Giannelli

Il sole entra nella case, inonda di luce tutti gli arredi, fino a riflettersi e schiantarsi contro le pareti che sorreggono le camere che compongono la routine quotidiana. I raggi diventano sottili, dando vita ad un unico flusso che segna ed evidenzia le forme della materia di cui siamo fatti e che abita il contesto in cui viviamo. È la stessa luce di cui ci serviamo per catturare gli istanti, le emozioni che ci trasmette un’immagine ben precisa quando la vediamo comparire lì ferma davanti ai nostri occhi. La forza della luce che da colore all’indefinito che abita il buio, dove tutto resiste all’anonimato della non conoscenza. C’è una serie di scatti realizzati da Asia Giannelli che mi catapulta in situazioni di questo genere. Il blu predominante delle pareti, i corpi chiari che fanno da contrasto alla tonalità profonda del colore e i riflessi della pelle che cospargono lo spazio di sensualità raggiante. Forme femminili invadono il campo, inginocchiate su di un letto rosso e riflesse in un quadrato di specchio lasciato indifferente. Nei suoi lavori Asia …

Sovvertire l’ordinario: Luca Mata

Di solito associo la crudeltà di un’immagine alla forza attraverso cui racconta un momento preciso. Sporca, priva di costruzione, spontanea. È la somma di una lunga serie di sensazioni che si trasferiscono dall’occhio di chi è dietro al mirino fino ad arrivare al mio. Una trasposizione di sentimenti che finiscono sempre per liquefarsi, riducendo la loro impronta a qualcosa che mai si riuscirà a prevedere. Il gusto personale, la scarica di emozioni che suscita una visione rispetto ad un’altra, il boato che irrompe nella zona dove esistono schemi invalicabili. La prepotenza di uno scatto prende vita, si realizza nello spazio visivo e attacca le consuetudini esistenti. Crea una sorta di invasione nel regno popolato da prefabbricati acquistati a metà prezzo, una lama che affonda nel corpo e ravviva la carne e le terminazioni nervose. Quando una fotografia destabilizza il personalissimo concetto di bellezza, il relativismo acquista un’immensa energia che si immagazzina poi nei meandri del suo essere materia dell’individuo stesso. Le reazioni non sono mai comprensibili completamente, eppure il gusto di una certa schiera di …

Costruiremo mondi sul niente, e poi li abiteremo.

di William Dollace «Un jour, on construira des villes pour dériver.» Guy Debord — Théorie de la dérive — 1956 La sconfitta. La deriva. La sconfitta è il portiere di una palestra che non esiste, da tempo scandito e candito dalle sue abitudini, il guardiano del niente, la luce verde dell’abitudine, alieno di sostanza. La deriva sono i totem di gasolio, disserviti dal loro servizio, impossibilitati a guardarsi fra loro ma a guardare nella stessa direzione, per sempre, monumenti, sculture di metallo semivuote. La sconfitta è una televisione che parla a sé stessa, megafono semantico in una stanza che potrebbe essere un’astronave nello spazio servita da televendite per alieni, costumi e culture lanciate come da un megafono per posteri che han deciso di abbandonare la loro poltrona. Julien Lombardi costruisce set che potrebbero stare ovunque, poltrone indirizzate a nessuno, lirici tentativi di darci in pasto alla deriva. Alla sconfitta. Questo lavoro di cesellamento della solitudine non mostra paura, rimorso, rimpianto, tale è, episodi solitari incendiari che viaggiano, fino al termine della notte. Piattaforme, in cui il suicidio del movimento ha lasciato …

Riuscire di scena

di William Dollace Persone. Attese. Panchine. Orizzonti di plexiglass e cielo. Il lavoro di Niall McDiarmid è una puntata di luce e attesa, di corpi di schiena, di sguardi che guardano chiaramente un altrove tolto di ogni anfratto fisico legato a rapporti di causa-effetto. Sono i personaggi di William H. Gass, di Carver, di Yates, i ragazzi delle consegne, i vecchi che resistono, le cassiere, le donne in attesa che pulsano di voglia e rassegnazione insieme, dal peso leggero di uno sguardo pesante, con cui passare l’estate in questi mercoledì delle ceneri. Battersea, South London — July 2015 Sono tempi tagliati fuori dall’inquadratura per tenere i corpi come templi, premesse di addii o di partenze, crepuscoli, epoche materiali dettate da grandi animali, dalle voci soffocate. È un ritmo che non ci appartiene, perché sembra non essere mai esistito, immobile e inchiodato come una flebo di luce attorno a un corpo, in attesa della morte, di un viaggio, di qualcuno che ti faccia sentire bene. Diari di lavorazione per vite che non sapremo mai, lezioni di anatomia vestite di cartongesso e …

Prigionieri senza ticket per il paradiso: Ronan Guillou

di William Dollace Il pensiero immobile, il corpo in movimento. Il corpo immobile, il pensiero in movimento. La fotografia di Ronan Guillou, sedimenta corpi ancorati a terra, che si orientano con le stelle, che non hanno passato indenni la loro Revolutionary Road. Sembrerebbe che il cielo sia davvero dei violenti, che la fuga sia la tensione pronta a esplodere, che la speranza diventi asfissiante, come un canto nella neve silenziosa di Selby Jr. Opere incendiarie, episodi, schiene e sguardi che raccontano come è impossibile orientarsi con i jukebox delle stelle, cani della mente che abbaiano ma solo nel cranio, indenni megafoni per potersi condividere, posizioni irrisolte di cartongesso, manichini che hanno finito le cartucce per il mestiere di vivere. È un mattatoio questa idea di territorio ancorata ai corpi, particelle che elementari si ingolfano di fango e detriti, quelli di una vita risolta col chiedere: “perché non ballate?” Fingeremo di essere morti, per capirne appieno l’anima sbagliata, eppure vacante, come mille luci impietosite dai lunedì blu di Grunberg, asfaltati dalle perizie, in questi Novecento disimparati nei bowling, …

God save the Punk

È una mattina di fine luglio. Sembra presto ancora e già Milano brucia. Salendo a spirale i gradini di 10corsocomo si avvertono delle voci in lontananza. Religioso silenzio tutt’intorno e, nell’aria, quell’unica voce rauca e sgraziata urla I AM AN AN — -T-I-CHRIST I AM AN AN-ArCHIST! È il 1976 quando esce Anarchy in UK, il primo singolo dei Sex Pistols, imprescindibile atto di nascita di quel movimento straordinario che sta per esplodere e travolgere tutto. E lui, Johnny Rotten il marcio, il supereroe anarchico, con il suo grido forte e inarticolato mi accoglie all’ingresso della galleria: Don’t know what I want but I know how to get it I.want to destroy the passerby ’cause I want to be anarchy. No dogs body Inizia qui, così, l’ascesa agli inferi di Punk in Britain, tributo a celebrazione di una delle subculture più potenti del Novecento. Allestita in occasione dei quarant’anni della nascita del punk: oltre novanta scatti in bella mostra, un percorso fotografico a sezioni, un’occasione per ri-scoprire il fenomeno che ha sconvolto e stravolto un’epoca e che non è mai …

La giungla d’asfalto di Arthur Fellig

di William Dollace Bianco e Nero. Nero come la cronaca e bianco come il lenzuolo che la ricopre. La città è uno sconfinato ring di cemento senza corde, sopra il quale resistere fino all’alba. I meno allenati gettano la spugna già a notte fonda: annegati negli alcolici, accoltellati da prostitute, crivellati dai colpi oppure appesi per il collo a lampioni, scalzi e cianotici. Il fascino e la violenza, nell’insensibilità alla luce rossa di camere oscure e motel ad ore, si mescolano agli agenti chimici in vaschette per lo sviluppo fotografico. Nessun compromesso estetico o sfumatura di colore. I corpi delle vittime vengono ripescati da pinzette professionali e lasciati appesi a sgocciolare, fermati da mollette di legno. Lo stesso flash di un colpo di pistola in faccia. Successivamente, il bianco saturo inizia a trasformarsi nei contorni macabri di fotografie di sconosciuti congelati nella loro ultima plastica resistenza alla morte. Vite inermi, nel loro perpetuo abbraccio con l’asfalto. Nauseati dal cloroformio che li ha storditi e baciati dalla violenza che li ha sorpresi. Cibo confezionato in abiti …