All posts filed under: Diari della quarantena

La quarantena è reale e ci unisce, anziché dividerci. Come sapete Casa di Ringhiera è il nostro non luogo per eccellenza, il posto in cui torniamo carichi di una buona dose di passione e curiosità da diffondere. Dopo una lunga chiacchierata siamo giunti a un punto in comune ed è la nostra voglia di condividere con voi “I diari della quarantena”. È un modo per sentirci tutti più vicini, per raccontarvi la nostra esperienza qui in Casa. Lo faremo attraverso i social, ma soprattutto con l’hashtag #iostoacasadiringhiera, che ha un significato ben preciso. E che arrivi proprio all’inizio della primavera, è segno di quella rinascita che ognuno di noi aspetta nella vita. Soprattutto in un momento come questo, sperando che ci seguiate nella nostra avventura, vi invitiamo a passare a Casa di Ringhiera di tanto in tanto. Vi aspettiamo.

La diga di Selene

diga

“Usa questa quarantena per trovare il tuo blocco.” Ma grazie dottoressa!  Come se bastasse una clausura per abbattere la diga. Ciao sono Selene e ho una diga emotiva. Immaginate un enorme bacino che raccoglie tutte le emozioni esagerate che altrimenti vi trascinerebbero come una cascata; il mio cervello convoglia tutto lì e io posso vivere una vita equilibrata e serena. Troppo doloroso: fa nulla, ho la diga. Questo è troppo intenso: mi spiace ho la diga. Morte di un padre: è filtrata con la diga. Incidente in statale: non lo ricordo più, ho la diga. Madre bipolare: c’è la diga, ora no, ora sì, ora no, ora sì. Sembra un superpotere sapersi proteggere dagli eccessi emozionali. Soprattutto quando sei protetto da shock tremendi come questi. La diga mi protegge, mi tiene al sicuro. Il cinque marzo mi sono laureata; 103/110 è un ottimo voto per chi credeva tutto perduto. Iniziavano i primi segni di chiusura per il virus. Non c’erano amici o parenti in abbondanza ma c’era la mamma, l’amore, e uno zio. Un traguardo …

Smart-working

smart-working

In pratica la farsa dello smart working è andata così, che se n’è parlato e se n’è parlato e se n’è parlato e quando il mood degli italiani è passato, in una notte, da #milanononsiferma alle leggi fascistissime, anche da noi si è detto e smart working sia.  Tuttavia, per chi lavora in azienda, tutto il giorno al pc su internet, non è scontato avere pc e fibra anche a casa. Tra l’altro se sei disposto a farti carico dei costi della fibra in vista dell’emergenza, non è che te la installano alla velocità in cui il governo fa una query sul sentiment su Facebook. Così, chi non è attrezzato per lavorare a casa si reca in ufficio. Compresa io. A casa ho la connessione, un mac e pure la stampante. Ma sono la mamma single di due figli alle superiori, e ancora non realizzo che la presunta scuola digitale è in realtà molto analogica. Ancora immagino che a un certo punto qualcuno avvierà le millantate videolezioni (invece arriveranno circa un mese dopo seguite a …

Atto d’artista ai tempi del Covid-19

atto

Riportiamo le parole di Matteo Piacenti, il giovane fotografo romano autore di Atto d’artista ai tempi del Covid-19, un progetto che ha subito catturato la nostra attenzione per la grande sensibilità che mostra: In questo periodo storico in cui il Covid-19 ha immobilizzato il nostro paese, è compito anche degli artisti di contribuire a rianimare la società. Nel nostro caso quello che è considerato fin da tempi passati il più strabiliante museo a cielo aperto, che è l’Italia tutta. Ed è quello che ho cercato di fare con Atto d’artista ai tempi del Covid-19. Ho scritto umilmente due pensieri: uno pre e l’altro post epidemia su semplici fogli di carta assemblati a modo di fascicolo. L’arte può essere una risorsa fondamentale anche quando l’economia subisce un calo come quello a cui stiamo assistendo. Soprattutto quando l’arte va in secondo piano per ovvie emergenze come la pandemia che in questo periodo ha invaso la nostra penisola. Spero che questo mio intervento sia di gradimento, perché sapere di fare del bene è qualcosa di inscrivibile. Matteo Piacenti

Casino

casino

Casino può essere una piccola casa di campagna, come la capanna dello zio Tom. Un archetipo interessante che simboleggia tutto quello che sta dentro alla parola inglese home. Gli affetti, la sensazione di tenerezza tra le coperte di casa tua, il divano di velluto che ti abbraccia nelle sere più fredde mentre leggi un libro avvincente e di tanto in tanto ti affacci da quella finestra sul versante est – la stessa dalla quale hai fotografato mille e mille albe – a guardare le stelle. D’inverno da lì risplende sempre la costellazione di Orione e col tempo ho imparato anche a riconoscerne le più intime componenti: Bellatrix, la donna guerriera, Rigel (β Orionis) la più luminosa, Betelgeuse che forse a breve esploderà, passando a vita nuova, diventando una bella supernova. Tuttavia, quello che intendo per casino adesso, quello che davvero intendo con questo termine è semplicemente quello che tutti pensano quando lo leggono: un gran caos, un assordante rumore che infastidisce i nostri pensieri. Casino è una parola della quale ho deciso di abusare nella …

L’apocalisse zombie

apocalisse zombie

Ieri ho sbroccato, proprio io che avevo detto a tutti che senza impegni e senza scarpe stavo da dio. Il fatto è che sono uscita, sono andata al supermercato a fare la spesa. Se mi capita di stare un po’ fuori dal mondo fatico sempre molto a riadattarmi, mi capitava anche quando facevo le ferie a casa a BucoDelCulo. A sto giro però è peggio, perché fuori c’è l’apocalisse zombie. Cioè, era da un po’ che non uscivo, non sapevo che avevano tutti la mascherina, ero rimasta al terzultimo decreto dell’altro ieri, quello che diceva di non mettere assolutamente la mascherina. Una cosa che mi manda fuori di testa è essere irregimentata, ho provato a lavorarci ma senza successo; il fatto che molti ci riescano mi fa sentire inadatta e arrabbiata. Ho sempre pensato che fosse per via del fatto che sin da bambina mi sono sempre badata da sola, nessuno mi ha mai detto fai questo o fai quello. Se poi l’obbligo è un dress code o un accessorio, io impazzisco, anche se è …

Venti metri

venti metri

Mi sono guardata allo specchio stamattina. Mamma, avrei voluto non farlo. Ma vi pare normale che la reclusione mi tiri fuori le occhiaie? Non che debba andare chissà dove. Non che debba fare chissà quanti metri. Beh, a dirla tutta, oggi avrei una specie di appuntamento. Quindi, correttore. Com’è che si metteva? Ah sì, con l’anulare. Incredibile, non mi trucco da due settimane e sono già diventata impacciata come un pinguino sui tacchi. Che dite, lo metto il rossetto? Non vorrei dare l’impressione di quella che sta cercando di accalappiare. D’altronde chi è che si mette il rossetto in casa se nessuno può levarglielo? Tutto questo perché la prima volta che l’ho visto (e che mi ha vista) non ero proprio un angelo di Victoria’s Secret. Il fatto è che non pensi a levarti di dosso il grembiule sporco di farina e le ciabatte coi ponpon se all’improvviso senti un pianoforte suonare. Da queste parti, non si sente più nemmeno la risata di una persona, figurarsi il suono di un pianoforte. Capite? Ed eccolo lassù. …

Il basco

Il basco

C’è un vecchio basco nero appeso a fianco della porta di casa mia. Il mio vecchio basco nero. È lì, fermo. Immobile. Dimenticato. E quasi mi dispiace. Certo, è un oggetto. Senza sentimenti né vita. Ma forse indossandolo era come se gliene dessi una. Prima del grande blocco questa casa, e tutto ciò che c’è dentro, era come una grande cornice. Ricca, varia, ma pur sempre una cornice. Perché la vita era fuori, la vita erano i mezzi pubblici stracolmi, i piccioni in piazza Duomo, la cioccolata da Pascucci. E ora la vita non c’è più. L’hanno rapita, l’hanno portata via da me! È davvero così? In questi giorni ho imparato che no, non è davvero così. La materia non si crea né si distrugge, ma la vita sì. È primavera, e la natura fa il suo corso, come noi dovremmo fare il nostro. È dando la vita che la si crea; attraverso la dedizione e l’amore la si può imprimere dappertutto, come l’impronta di una scarpa nel cemento fresco. In questo modo una casa …

RATARATÀ!

RATARATA!

!Orsù dunque, è ora di cambiare! Cambiare parole ed espressioni che, da diciannovegiornitonditondi, ci mettono angoscia, ci rubano il sonno, fanno tremare polsi e gambe, rivoltano l’intestino e da svegli procurano fastidiosissime e interminabili tachicardie. Parole scivolate nelle nostre orecchie come stille velenose. Parole angoscianti che ascoltiamo dai telegiornali, le ripetono gli esperti, le pronunciano i cantanti e gli attori, e poi ballerini, scrittori, avvocati, parrucchieri, medici, operai… insomma, tutti a dire le stesse cose come se il nostro vocabolario fosse di colpo regredito. Non suggerisco di abolirle del tutto, la lingua italiana è una grande signora e va rispettata, ma di cambiarle momentaneamente per chi, da diciannovegiornitonditondi, vive nella terra di mezzo.Il prima è già storia, il dopo è tutto da reinventare. Quello che vengo qui a suggerire è la creazione di un dizionario provvisorio.Sostituire, per esempio, la parola quarantena con una che abbia un bel sorriso tra le vocali e le consonati, che ispiri fiducia e dia pure un poco di allegria. Luce e leggerezza. Che ne so… dire rataratà per indicare quarantena. …

La mattina è un ritaglio di cielo azzurro

mattina

  Il momento della giornata che preferisco è la mattina. Non lo era, fino a qualche settimana fa, quando la passavo a dormire per isolarmi dal caos esterno, dalle scadenze impellenti auto-inflittemi e dagli impegni incollati a una sedia. Ora la mattina è un ritaglio di cielo, un ritaglio di tempo per assaporare il mondo fuori casa, incorniciato dai muri di casa. Dal balcone della camera dei mie genitori, la luce del sole dora le pareti gialle, l’aria fresca è brezza, entra il suono degli uccellini risvegliatisi dal torpore invernale. Mai come quest’anno, la primavera è un inno alla vita, quella vita che tanto è cambiata e per certi versi migliorata. Riesco a gustare l’istante lento di ogni secondo, come i raggi caldi che mi accarezzano profumati mentre sono sdraiata sulle piastrelle lignee della stanza. Mi sento come la bionda Melisande di Debussy, fuggita da un paese lontano e dimentica del suo passato. L’unica delle vecchie abitudine rimaste è la musica. Non mancano i Tame Impala a farmi da colonna sonora nella testa, ora con …

Hope. Speranza.

Hope. Speranza.

Poi l’alba. Ancora.I pianti. Ancora.Trattenuti. Esplosi. Trattenuti.La rabbia. Ovunque.L’incertezza più di ogni altra cosa. La vedi.Riesci a vederla? Giorni cheSaranno come le finestre aperte chiuse aperte di fronte.La musica. Anche. Di fronte. Come la vita che passa, di fronte.Ma anche quei pianti purtroppo, che intendo. Saranno come la notte a fumare da soli guardando le stelle che non si vedono in città le stelle. Ma qui dove sto io in questo angolo di città è pieno di stelle. Le puoi toccare le stelle se chiudi gli occhi, dappertutto certo. Puoi farlo. E poi dopoSaranno come fuochi d’artificio.Belli come non se ne vedevano da tempo.Ma Saranno anche questo singhiozzare che resta.Questa tristezza, che resta.E il silenzio. Che resta.Lo senti? È ovunque. Ma infinesaranno come la vita che torna. Diversa, ma torna. Torna sempre la vita.Lo sai, no? Si chiama Speranza. (E no, non è il Ministro). And then the dawn. Again.The crying. Again.Withheld. Exploded. Withheld.Rage. Everywhere.Uncertainly, more than anything else. You see it. Can you see it? Daysthat will be as the windows, open and closed …