All posts filed under: Musica

Intervista: Leila e l’inverno onirico di “Blu”

Leila Bahlouri è nata a Roma ma ha origini persiane. Il padre è di Mashhad, città del nord al confine con l’Afghanistan, dove di tanto in tanto va a trascorrere il tempo in famiglia, o si muove in esplorazione per il paese. Dice di conservare poco di quella cultura nel quotidiano, sebbene la sua anima sia poco italiana e la poesia iraniana influenzi la sua scrittura. Vive un senso di alienazione costante. Ho scavalcato per perdermi Oltre il giardino, Ma non c’è niente da prendere Solo un respiro.   Ciao Leila, è un piacere intervistarti. Quando è iniziato il tuo percorso? Ciao Ilaria, innanzitutto grazie. Il mio percorso è iniziato nel 2016, quando con Federico Leo ho iniziato a scrivere e suonare brani in italiano. Li abbiamo poi pubblicati, messo su una band e partiti per un tour di due anni. Parlaci del nuovo singolo Blu: com’è nato? Come lo descriveresti in tre parole?  Blu è il primo di una raccolta di brani dedicati alla natura: i suoni del bosco, la lentezza nel fare le …

Little Stone: le sfumature del bianco e del nero

C’è chi si accontenta del luogo dove nasce, delle abitudini, dei luoghi comuni e delle piccole cose che fanno della quotidianità un luogo sicuro. C’è invece chi non si sente al sicuro nella comfort zone e si sente soffocare nei piccoli paesi di provincia, pur amandoli per la loro bellezza e unicità. Little Stone (nome d’arte di Sara Barberio) appartiene a questi ultimi sognatori e amanti disperati del disequilibrio.  Giovane cantautrice di Sarroch, un paese in provincia di Cagliari, ormai un paio di anni fa, decise di lasciarsi alle spalle la sua isola per andare a trovare la sua strada a Dublino. Sebbene due isole con in comune una simile tradizione musicale antica, le differenze tra le due culture si sono fatte sentire. “Il trasferimento a Dublino ha avuto un impatto decisamente emozionante”, dice l’artista. Descrive il cambiamento dal suo paese d’origine alla capitale irlandese come uno salto eccitante, pieno di adrenalina ma anche spaventoso. I tempi frenetici della città l’hanno travolta fin dal primo istante, eppure si è sentita abbracciata dal calore irlandese. Ha …

Strawman and The Jackdaws: dov’è il mio folk adesso?

Sono passati più o meno cinque anni da quando vidi Londra per la prima volta. Ricordo il treno in sosta sul ponte collegato a Victoria Station, il Tamigi, come dipinto, in cui si specchiava il grigiore di una città che grigia non è. Ricordo il godimento di quell’attimo, amplificato dalla colonna sonora cristallizzatasi in esso e in quella porzione felice della mia gioventù: Mike Rosenberg, in arte Passenger, questo il nome di chi ha accompagnato lo spiraglio di luce nel buio medievale della mia adolescenza. Ne è passato di tempo da quando ho smesso di premere play ed ho lasciato scorrere come un fiume in piena le note folk, quelle che mi hanno insegnato la leggerezza del vivere. Sono sempre stata aggrappata alle canzoni dei Lumineers, Of Monsters and Men, Foster the People e molti altri, che come loro rispondevano le mie vibrazioni energiche, positive, da combattente felice. Poi svanirono, si affievolirono per lasciare posto a sonorità più cupe e introverse, anche se pur sempre sognanti. Mi sono domandata: “Dov’è il mio folk adesso?”. La …

Glenn Gould o della compiuta assenza

pianoforte

Preludio Ci siamo trovati sospesi, a causa di questo Covid-19, in un limbo che attraversiamo con la percezione di una subdola spada di Damocle abile a recidere il senso della vita activa a cui eravamo abituati. Nel rapporto con gli altri, scopriamo ora un senso diverso della presenza, dell’essere davvero qui e adesso.  Difficile non pensare ad un artista che dello sparire dalle scene, all’apice del mito, fece la propria missione, per inseguire il sogno di una musica che fosse, come nella mistica medievale, “ciò che riempie contenendo”: Glenn Gould. Il genio è fratello dell’unicità, come questa la sua condanna. Chiunque abbia in sorte il dono del talento, si ritrova a doverlo alimentare nel nome dell’apparire. E abbiamo chi quell’immagine ha cercato  di distruggere, rimanendo nell’incertezza che Keats considera prerogativa degli artisti. Uno di questi, forse l’unico ad esserci riuscito, è Glenn Gould. Nato nel 1932, canadese, bambino prodigio del pianoforte, dotato dell’orecchio assoluto. A 14 anni l’esordio con il Quinto concerto per pianoforte di Beethoven e l’incontro con il suo primo ed unico insegnante …

«What a mad delusion / Living in that confusion»

Canzoni di Charles Manson 22.15, inizi agosto. Si profilava, nel pomeriggio, un splendido temporale estivo, annunciato da lampi lontani e qualche tuono. Ma non è successo niente, alla fine. Le particelle di azoto sono rimaste sospese nell’aria, nel limbo tra l’essere e il non essere, nel margine instabile della perdizione. Evidentemente, il fenomeno, mi ha dato un po’ alla testa, come il cloruro di metile faceva andare su di giri i sommergibilisti nei battelli della prima e della seconda guerra mondiale, travolgendo l’equipaggio in smanie, depressioni, stati di euforia, follia omicida, allucinazioni. Non lo scrivo per giustificare quanto fatto in seguito, anzi, me ne assumo tutte le responsabilità, alzando le barriere soprattutto agli occhi dei più bigotti, di quelli che vengono presi generalmente da facile sconcerto. Il fatto è che mi piace scavare a fondo nelle faccende, osservare i fenomeni da più punti di vista, esterni, interni, dall’alto, dal basso, di lato. Capire le ragioni delle vittime e dei carnefici, cercare di fare un po’ di luce e gettare qualche ponte per costruire vie sghembe …

4tet – mi sono fatta un giro tra i suoni dei Tanake

4tet - mi sono fatta un giro tra i suoni dei tanake

— Perché dovrei parlare con te? Dimmi. Non sapevo neppure esistessi fino ad un attimo fa ed è mezzo minuto che ti dico di andare. E, sai, mi prude il naso. Proprio adesso. E devo scegliere se grattarmi o parlare. Se stare in me o non stare affatto. E poi è morta Mary Ann, li dove è nata, a Macungie, Pennsylvania. L’ho conosciuta un anno fa che aveva già 93 anni, e l’ho fotografata mentre le visitavano gli occhi. Aveva una pelliccia di plastica tigrata, le mani profumate di qualcosa. Ha riso con me, tutto il tempo e poi è andata via. Proprio come ieri, quando la figlia mi ha scritto che il giorno prima le ha chiesto di cercarmi, che voleva ringraziarmi di averla fatta ridere tanto, per dirmi che quel giorno e i giorni che sono venuti era stata felice. Hai capito? Sai di cosa parlo? Hai ragione, nulla che ti riguardi, cose che prudono il naso. Che domanda è? Ho pregato fno ai sette anni. Poi silenzio, ché il tempo vale. Ah …

La Rivoluzione ai tempi della Brexit: Kate Tempest, la poetessa che ‘rappa’

[una disguida non convenzionale sulla spoken-word poetry incazzata nell’Europa che dorme] di Disguido Luciani     Picture a vacuum / Immaginate un vuoto An endless and unmoving blackness / Un buio immobile e senza fine […] it’s been a long day, I know, but look – / […] la giornata è stata lunga, lo so, ma guardate – In now / Entrate, adesso In / Entrate Fast / Presto A guardarla non lo direste che Kate Tempest è una dura, una ribelle. Anzi, la voce più dura e ribelle dei giovani d’Europa. A guardarla non direste neppure che Kate Tempest è una poetessa. Anzi, la poetessa più acclamata dell’ultima generazione di poeti inglesi. E no. Tantomeno direste che è una rapper. Anzi, la rapper più sorprendente della spoken-word poetry. Eppure, Kate Tempest, capelli biondi da tipica ragazza inglese, carnagione pallida da tipica ragazza inglese, occhi chiarissimi, ancora una volta da tipica ragazza inglese, all’apparenza un’Adele come ce ne sono tante a Londra, certo, meno raffinata e attenta al make-up, a trentatré anni è stata definita …

Fargo I: Il riscatto dell’antieroe borghese

fargo I

«Avrebbe scrollato le spalle se gli avessero detto che la sua vita sarebbe cambiata di punto in bianco.» Georges Simenon Quanto sarà alto Lester Nygaard? Più o meno quanto il suo spessore morale o la sua fortuna nel farla franca. Un metro e cinquanta circa. Né troppo, né troppo poco, una statura media. Come medio è il personaggio che incarna, come nei limiti della medietà risiede la sua grandezza nel diventare, velocemente, assassino. Uno che era solamente assicuratore. La vicenda mi ha ricordato tanto un libro che non mi è piaciuto molto o che non mi è piaciuto quanto Fargo: L’uomo che guardava passare i treni, di Simenon, che racconta la storia di Kees Popinga, gentiluomo di Groninga, che da un giorno all’altro diviene ricercato in mezza Europa. Lester agisce più o meno secondo gli stessi meccanismi mentali e con la stessa cristallina lucidità. Ma non viene ricercato nell’immediato, perché di lui si comincia a sospettare tardi, perché lui è intoccabile dentro le mura della sua blanda quotidianità, dei suoi cortesi buongiorno e buonasera, dei …

Can you see in the dark? In memoria di quelli che restano e di chi non c’è più. In ricordo di Scott Hutchison

«Can you see in the dark? Can you see the look on your face? The flashing white light’s been turned off You don’t know who’s in your bed»   Riesci a vedere nelle tenebre, mi chiedo, adesso che nelle tenebre hai ficcato la testa, le mani, le braccia, il tuo corpo robusto, la barba folta, i pensieri, la voce, i sogni, i silenzi. Ora che le parole sono scomparse dalla tua mente, che sei da qualche parte lontana, io sento ancora il tuo cantare dentro a un disco registrato che si ripete nella mia testa. Nel postscriptum di Norvegian Wood – Tokyo Blues di Murakami, si legge “questo libro è dedicato a tutti i miei amici che sono morti e a quelli che restano”. Le pagine del romanzo dello scrittore giapponese sono impregnate di un senso di disagio, insoddisfazione, un’inquietudine che tinge tutta l’atmosfera di tonalità grigie. Tuttavia, dentro l’opera, possiamo cogliere anche una flebile luce: è quella emanata dalle vite di chi resta, di quelli che non si arrendono, ma è la luce anche …

Anime galleggianti, ovvero: un viaggio simbolico, due musicisti e una chiacchierata col fotografo che li ha accompagnati

Zamboni e Brondi raccontano quell’avventura a parole, tu tramite delle immagini bellissime. Avresti voluto aggiungere altro al racconto, oppure ti senti di aver detto tutto tramite quegli scatti? «Credo di aver “detto” tutto quello che ho provato in quei quattro giorni» Piergiorgio Casotti © Piergiorgio Casotti C’è una salina che sembra un iceberg, dei cartelli stradali che sbucano dalle erbacce ai margini della palude e indicano Rovigo, Mantova, Venezia, il Po. Le indicazioni spingono l’osservatore disperso a ricollocarsi in un contesto spaziale definito: siamo in Italia anche se pare di essere altrove. Altrove per indicare un quadro indistinto, di coordinate vaghe e imprecisate. Dispersi, alla deriva, guardando immagini di non luoghi, potenti, bellissime, sospese in un nulla indolente, accomodante, terra di presenze leggere, fuochi fatui, anime dei morti. Ma i cartelli parlano chiaro e le voci narranti ci riportano con forza alla realtà. Di nuovo catapultati nell’orizzonte dell’essere. Che peccato. Era un posto così bello, quello, per viverci e morirci. Ma «adesso siamo qui, passati dall’essere assaliti da troppe cose contemporaneamente al non essere assaliti …