Ho passato la vigilia di Natale con Carver

Ognuno di noi ha un approccio diverso nei confronti dell’arte. E’ un po’ lo stesso rapporto che abbiamo col cibo. Conosco gente che definirei bulimica rispetto all’arte. Ne inghiottono così tanta quasi da star male. E dopo, irrimediabilmente, si ficcano due dita in gola e la vomitano tutta. Poi ci sono gli anoressici: dosano le razioni accuratamente. Ho sentito dire in un telefilm «papà contava i cereali che metteva nel latte». Sì, calcolare le razioni è proprio un tratto distintivo di chi vuole tenere sotto controllo delle cose in modo ossessivo. Ma si può parlare di disturbi simili a quelli alimentari per quanto riguarda l’arte?

Mi viene in mente una consuetudine condivisa da molti, me compresa. Quando sento diverse persone tessere le lodi di un’artista — non me ne vogliate — mi risulta molto facile che quest’ultimo mi stia terribilmente antipatico. È successo con uno scrittore che poi ho rimpianto di aver scoperto così tardi nella mia vita: Raymond Carver. Tutte le volte in cui ho letto commenti fin troppo positivi da parte di gente sparsa per il mondo — «oh, è così carveriano!» — ho pensato fosse uno di quei casi in cui si parla troppo e si dice realmente poco. Poi una persona molto cara mi ha pregata di leggere Casa di Chef, racconto contenuto in Cattedrale (Einaudi, traduzione di Riccardo Duranti), una delle raccolte di racconti più famose dello scrittore dell’Oregon. «Leggilo, ti piacerà sicuramente!» L’ho letto, ma ho pensato che non fosse nulla di straordinario. Così l’ho abbandonato.

Sono passati diversi mesi da quella singola e sterile lettura. Poi la sera della vigilia di Natale, di mia spontanea volontà, ho ripreso tra le mani Cattedrale. Vedete, sarà stato il profondo momento di solitudine in cui versavo, oppure mi sarà tornato in mente un particolare di Da dove sto chiamando. Non lo so, non ve lo so dire. Fatto sta che ho cominciato a leggere. Tutto d’un fiato. Ho terminato quel racconto e sono rimasta sul letto a meditare su quello che stava inconsapevolmente avvenendo in me. La sensazione di vuoto che stavo provando nei confronti di Ray — come lo chiamava affettuosamente la sua compagna Tess Gallagher — e della sua scrittura era qualcosa che mi mancava terribilmente. Così ho lasciato un biglietto alla persona che da mesi e mesi mi supplicava di leggere Carver ringraziandolo di non avermi messo fretta.

Sono trascorse alcune settimane. Carver mi incuriosiva sempre di più. A volte sbirciavo tra le sue parole, effettuavo brevi incursioni in Principianti, dove i racconti in alcune parti sono brevissimi come le ferite inflitte dai rasoi affilati. Ciò che restava dopo quegli attimi in sua compagnia era una sensazione di sospensione. Conoscete la definizione geometrica del segmento? Ecco, i racconti di Carver sembrano quello che c’è di più simile ai segmenti. Una parte di retta delimitata da due punti: A e B. Ci siamo. Un segmento è qualcosa che ha un inizio e una fine. Ma si tratta anche di un elemento che si trova in media res e per questo motivo è parte di qualcosa che si definisce in modo molto più ampio. Oltre alla brevità, nelle parole di Carver c’è molto altro. Non a caso si parla a dismisura del non detto presente nei suoi racconti. Ma se invece fosse semplicemente assenza di parole? E se invece di catalogarlo come non detto si trattasse solo dell’impossibilità di definire determinati personaggi e situazioni?

Poi un giorno ho deciso di prendere dalla libreria della stessa persona che mi aveva proposto di leggere Carver proprio Cattedrale. Era cominciato tutto da lì, qualcosa voleva pur dire. Non nascondo di essermi commossa in Una cosa piccola ma buona nel momento in cui Howard abbraccia tra le lacrime la bicicletta di Scotty. Ho continuato a leggere, a cercare dettagli, a lasciarmi portare dallo stile assolutamente semplice e particolare di Carver. Ho realizzato che semplicemente non sopporto la troppa enfasi che mettete quando amate un’artista; di conseguenza finisco per odiarlo. Dovrei trovare una soluzione a questo disturbo, non posso perdermi uno come Carver — e altri degni di lui — perché in definitiva ho in odio tutto ciò che viene esaltato in maniera smodata. Devo porre rimedio, lo so. Problema mio.

Resta il fatto che ho conosciuto uno scrittore dalla straordinaria capacità di attirare a sé senza troppi fronzoli. Ho letto, tra le tante lodi verso Carver, che lui non usa il suo vissuto per elaborare la sua letteratura come ogni altro scrittore. Leggendo i suoi racconti ci si ritrova a tu per tu con la vita, che scorre sotto i tuoi occhi, attraverso dettagli insignificanti o situazioni che cambieranno le cose in modo definitivo. Non puoi sapere se il momento che stai vivendo appartenga alla prima o alla seconda categoria, quindi non ti resta che viverlo, o leggerlo — se parliamo di Ray.

cattedrale

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