Lo scorso 17 ottobre, presso la Chourmo EnoLibreria di Parma, è stato presentato Ho te, progetto fotografico di Alessandra Pace e Fausto Serafini. La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 14 novembre.
Un uomo è seduto sopra un divano rosso con dei dettagli chiari, quasi dorati. Poggia la sua mano sinistra sulla gamba di una donna seduta proprio sul poggiatesta. I due sono quasi uno parallelo all’altra, come se tutto fosse il frutto di un calcolo effettuato con estrema precisione. Dall’esterno della stanza proviene una fascio di luce che investe entrambi con un bagliore arancione — il volto di lui e gran parte del corpo di lei. Sulla parete si intravedono delle cornici che conservano foto e dipinti. Una pianta — forse una Kenzia — sembra voler invadere il campo, ma rimane timidamente sullo sfondo bianco. Non c’è alcun componente di questa immagine che sia fuori posto. Tutto rispetta la sacralità dello scatto della macchina fotografica. Ci si applica nello scegliere l’istante giusto e il gioco è fatto.
Osservando attentamente l’immagine sopra descritta mi viene spontaneo associarla ad una di quelle situazioni carveriane che tanto irrompono nelle pagine dei racconti dello scrittore americano. C’è una situazione ben definita e tutto il resto sullo sfondo. Carver si muove magistralmente tra quegli instanti che egli stesso crea senza mai definirne i contorni. Tutto è servito su di un piatto d’argento, ma ogni personaggio ritratto nasconde dietro di sé tutta la sua storia. Le parole scorrono e la forma contestuale viene su, priva di qualsiasi particolare inerente al vissuto. Spetta a noi indagare, attraverso l’immaginazione, quello che caratterizza la vita di ogni personaggio.
Questa è la potenza su cui si fonda la gran parte dei racconti che leggiamo. Certo, non esiste alcuna chiave precisa per il successo. A dire il vero ogni autore possiede la sua — o almeno si illude di possederla. In questa fragilissima arte è fondamentale omettere, invece di riempire infinite pagine con interminabili descrizioni. Il non detto deve vincere sul suo contrario, ovvero sull’eccessiva mole di dettagli inseriti. Non serve star lì a parlare di ogni minimo punto, di ogni minima virgola, ma basta lasciar andare la storia per la sua strada, concedendogli lo spazio che essa reclama a gran voce.
Qualcuno potrebbe definire questo come una sorta di minimalismo, altri invece come pratica dedita alla scarsa definizione dei dettagli. Fa comodo non doversi sbilanciare nel proseguimento della trama e lasciare che tutto venga compiuto dallo scrittore. Ci si spoglia di tutte le responsabilità, facendo così gravare tutto il peso di un eventuale insuccesso sulle spalle dell’autore. In questo modo si evita di venire coinvolti in prima persona, obbligando la lettura ad un esclusivo atto passivo. Altroché lettori protagonisti.
Con i racconti di Carver ci si rende conto di quanto il vuoto narrato sia più esaustivo di mille parole. Quelle che possono sembrare semplici buche compongono il manifesto — ancora odierno — di una realtà che ci accomuna tutti — chi più, chi meno.
Tornando all’immagine sopra descritta, essa è la fedele rappresentazione di una fotografia realizzata da Alessandra Pace e Fausto Serafini per il progetto Ho te, in cui entrambi gli autori sono gli stessi soggetti ritratti. La collaborazione che avviene tra di loro permette che l’incontro di due modi di percepire la realtà confluisca in un unico punto di vista, dando vita ad un immenso, e mai banale, sodalizio artistico. Chiunque osservi attentamente questa fotografia, può constatare quanto sia notevole il peso rappresentato dall’omissione dei vissuti di entrambi i soggetti ritratti. Si è scelto di immortalare un istante senza che esso dica eccessivamente troppo sul contesto che gli avvolge.
Con Ho te, Alessandra Pace e Fausto Serafini mettono a nudo il loro legame, raccogliendo in un lungo diario tutta l’intimità che da esso scaturisce — da quella legata alla sfera sessuale a quella che si spinge nei meandri della semplice quotidianità.
Unendo la capacità del racconto a quella della loro fotografia, scorgiamo quanto sia sottile il confine che divide le due espressioni artistiche. Se come abbiamo sottolineato precedentemente in merito ai racconti di Raymond Carver — che nella loro semplicità racchiudono un intero quadro sulla condizione umana degli ultimi cinquantanni — lo stesso paragone potremmo farlo con la fotografia di Alessandra Pace e Fausto Serafini. Se portassimo il nostro occhio oltre ciò che appare, potremmo captare i segnali di quello che avviene nella comune vita di coppia. In questo caso, per comprendere quello che la fotografia vuol trasmetterci, dobbiamo cedere allo schema del tutto-e-subito e impegnarci nel varcare la soglia di ciò che si presenta davanti ai nostri occhi. Quello che Alessandra Pace e Fausto Serafini scelgono di ritrarre attraverso la loro macchina fotografica diviene materia di confronto con il proprio soggetto. Catturano la propria vita e la mettono su pellicola, rendendo il concetto di privato estremamente pubblico.
Sono scatti diretti, che non usufruiscono di nessun grosso artificio, eppure dicono più di quanto si creda. Sono ritratte pratiche quotidiane legate indissolubilmente alla vita di coppia. I loro corpi si incontrano con la stessa intensità dei loro gesti, trasmettendo con la loro spontaneità tutta la potenza di un legame romantico e allo stesso tempo erotico. Ho te, in questo caso, diviene il giusto testimone della loro complicità che si manifesta nei luoghi che abitano, che vivono. Nei luoghi della loro intimità. È in casi come questi che la fotografia diviene veicolo narrativo a tutti gli effetti, ampliando il suo raggio d’azione fino a coinvolgere i fattori che risiedono tra le fila della maestosa arte del racconto. Esprime qualcosa che negli anni è sempre stato oggetto di discussione, ovvero l’amore, e tutto quello che riguarda le trame del tessuto che riveste due vite che si incontrano e decidono di saldarsi reciprocamente — assumendo tutte le sfumature di un rito.
Il fascino di queste opere è il risultato di un lungo viaggio interiore iniziato all’incirca quattro anni fa, con entrambi gli autori immersi nella più totale sperimentazione — mai assopita — e che aspira a divenire l’ingrediente principale di questo importante diario fotografico. I loro tratti distintivi sono ben visibili anche nei lavori che conducono in contemporanea a Ho te. L’originalità che da essi risalta è la forza motrice del percorso da loro intrapreso, e che si protrae lungo la strada di una attenta ricerca di sé stessi.