I know this much is true di Derek Cianfrance con Mark Ruffalo in onda su HBO, un episodio a settimana. Alla vecchia nostalgica maniera. (Per il terzo episodio ci tocca arrivare al 24 maggio).
Quando finisce il primo episodio succede che ti manca il fiato. Una coltellata dall’inizio alla fine questo primissimo episodio, ma anche il secondo. Probabilmente anche il terzo. Senza tregua senza luce tutto immerso in un grigio verde anni novanta (epoca di ambientazione). Tutto sottoesposto, come i sentimenti. Nascosti. Inviolati. La luce, il sole, solo una volta farà capolino in 59 minuti di storia. In quella scena straziante in cui “Domenico” Dominick/Mark Ruffalo cerca di recuperare suo fratello gemello, Thomas/Mark Ruffalo, nell’acqua del fiume.
Adesso posso avere il mio panino al McDonald’s?
Quasi religiosa questa sequenza, come del resto lo è anche il sacrificio iniziale quel religious act, di una morte di un volere di una morte di un non accettarla la morte. E poi il sole, eccolo, che inghiotte in controluce i due fratelli, un Caino e un Abele moderni.
“Sono forse il guardiano di mio fratello?” chiede Caino al Signore, nella Genesi.
Prenditi cura di tuo fratello, gli dice sua madre.
Mi prenderò cura di mio fratello. Risponde lui. Ripete lui. Tra le lacrime.
I due gemelli: la notte e il giorno. Dice in auto, a tal proposito, Ray, il loro patrigno.
C’è un momento, fuori dal racconto filmico, uno zoom-in lentissimo sulla foto che ritrae Domenico Onofrio Tempesta, autore del manoscritto in italiano, dal contenuto conturbante. Che se avessi dei figli… quest’uomo non lo farei avvicinare a loro. Volevo solo dirti di non farlo leggere a tua madre, se non prima di averlo letto tu. Dice Nedra/Juliette Lewis.
Ed è così che Dominick comincia il suo viaggio alla ricerca delle sue radici. Così lontane nel tempo, che quasi si sono perse.
Ma chiunque fosse mio padre, mia madre mantenne il segreto. Ci convisse. Lo seppellì. Lo seppellì dentro lei, per tutta la vita.
La performance della Juliette Lewis che scimmiotta Juliette Lewis è una perla dentro una perla. Una bellezza tristissima accompagna tutta quella scena. “Non c’è bellezza senza ferita”, come insegnava Francis Bacon. Il contraltare alla ex-bambina di Natural Born Killer sono i piani di ascolto di quel mostro di bravura che è Mark Ruffalo, intrisi di imbarazzo e allo stesso tempo di desiderio incompiuto. Di tristezza cupa, desolante. Senza rimedio.
Derek Cianfrance, maestro di umanità, insiste sui primissimi piani senza lasciare mai i due gemelli, senza lasciare la madre, senza lasciare l’ex-moglie senza lasciare nessuno. Le lacrime, le sopracciglia che si aggrottano, le smorfie, l’assenza dello sguardo, i pori la pelle i peli. Il dolore. Sempre.
La fotografia, per me eccelsa nel suo non essere e non voler essere spettacolare, sottolinea i paesaggi interiori dei protagonisti. Con garbo. Umiltà. E bellezza. Una luce naturale piovosa insistente grigia. Le luci al tungsteno contrappongono uno strano calore, fittizio. Lo si vede in quelle poche lampade che si irradiano sulle distese fredde freddissime delle inquadrature.
Il direttore della fotografia Jody Lee Lipes, lo stesso di Manchester by the Sea, filma in 35 mm. E lo fa con eleganza e maestria.
Anche quel bacio, come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere in questo momento, che parte con una correzione di macchina su una pan laterale, è sublime.
Ogni momento di questa serie è cinema. Puro cinema.
So che questo è vero.