I piaceri della censura

Nel corso degli anni la censura ha cambiato faccia diverse volte. Il legislatore ha pian piano fatto finta di allentare la presa, concedendo spazio a qualsiasi cosa lo richiedesse. Una mossa astuta, visto quello che accade al giorno d’oggi. Ai giornali si consente di pubblicare articoli scomodi — quei pochi che in Italia ancora lo fanno –, ma qualora non dovesse piacere alla persona interessata si può avviare un procedimento giudiziario, per la gioia degli avvocati e dei giornali stessi.

Nell’ultimo periodo, osservando la serie di avvenimenti che ci riguardano da vicino — chi in maniera diretta e chi in maniera indiretta — mi chiedo cosa mai avrebbe provocato la pubblicazione di tale opera nei confronti dell’opinione pubblica. Qualcuno potrebbe citarmi l’esempio delle sfumature, ma su di esse abbiamo già espresso il nostro giudizio. Evitiamo di ripeterci all’ennesima potenza su un fenomeno che è stato indagato sotto molteplici aspetti, da quelle psicologico a quello sociologico. Chiunque si è scomodato pur di esprimere la sua opinione in merito alla serie di libri, al film e a quello che ne è conseguito.

Ho pensato e riflettuto su Opus Pistorum di Henry Miller per tutto il giorno. La genesi di quest’opera inizia nel 1941, quando il suo amico libraio Milton Luboviski gli commissiona la stesura di un’opera che tratti di argomenti esclusivamente sessuali da far circolare nella cerchia ristretta di clienti fidati — e per raggranellare qualche soldo in più. Dopo aver pattuito il compenso, Miller consegna periodicamente del materiale al suo amico, fino alla metà del 1942. La dinamica che ha consentito la nascita di questa opera è molto simile a quella che può verificarsi in questi tempi super tecnologici. Ad esempio, mettete il caso che due amici sono in cerca di una fonte di guadagno e decidono di investire nel porno online. Uno gestisce il dominio e i caricamenti, l’altro — quello fisicamente più idoneo — si occupa della realizzazione dei contenuti. Ecco, Luboviski gestiva i clienti, Miller — quello che sapeva scrivere — creava, pagina dopo pagina, un diario proveniente direttamente dalla scena parigina degli anni trenta.

Illustrazione di Olimpia Zagnoli

Opus Pistorum è stato pubblicato postumo, nel 1983. In Italia fu stampato nel marzo del 1984 da Feltrinelli, con la traduzione di Pier Francesco Paolini, esattamente quattro anni dopo il processo a Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, periodo in cui la censura del nostro paese si trovava nel pieno del suo paradosso. Da un lato il caso dello scrittore di Correggio, dall’altro l’esplosione di una certa cultura “libera” diffusa dai programmi televisivi che andavano in onda. Evidentemente in quattro anni il paese aveva raggiunto una certa maturità.

Ad oggi, con i fanatici religiosi che sono in circolazione e i social network a portata di ban, credo che la strada verso la pubblicazione sarebbe stata tutta in salita. Un libro del genere avrebbe goduto di tutta una serie di attacchi mirati ad un abbattimento definitivo. Come la stessa Fernanda Pivano tiene a precisare nella sua postfazione all’opera, questo è un libro senza trama. Al suo interno sono raccolte le scene di una Parigi particolarmente infuocata sotto diversi aspetti, dove i personaggi sono protagonisti indiscussi di un’ondata composta dal sesso più schietto che sia mai stato scritto, scavalcando sottilmente quella che fu la rivoluzione dei costumi del 1968. Certo che qualcuno ne sarebbe venuto fuori con un grosso polverone mediatico.

All’iniziativa messa su da Luboviski prese parte anche Anais Nin con la raccolta di racconti Il delta di Venere, pubblicato per la prima volta nel 1977. Queste opere — inizialmente private — giravano tra i clienti di cui il libraio della Larry Edmunds si fidava ciecamente. Di solito erano registi e impresari di Hollywood che frequentavano la libreria da diverso tempo. Il rischio che la polizia gli arrestasse per aver infranto la legge era dietro l’angolo. Basti pensare a quello che Miller e il suo editore — e non ultimo il suo libro — avevano subito con la pubblicazione di Tropico del cancro. Eppure, dopo anni si è giunti alla pubblicazione.

Al contrario del paradigma che afferma quanto siano liberi i nostri tempi, sono del parere che attualmente un’opera di questo genere avrebbe incontrato i maggiori ostacoli che si possano mai temere. L’illusione di godere dei diritti che ci consentono di esprimere i nostri pensieri, privi di alcun limite, è grossa più della Groenlandia. La realtà invece è un’altra. Protestiamo ancora contro i social network che vietano tassativamente di esporre i capezzoli femminili in foto e video, figuriamoci se un libro come Opus Pistorum avrebbe mai avuto vita facile. Il sesso raccontato da Miller nelle sue opere è un innocente inno all’amore, altro che oscenità. Resta il fatto che fa comunque comodo ripudiarlo.

Nonostante il mio pensiero in merito a quello che popola la nostra realtà, quei due amici che hanno messo su un sito con contenuti-adatti-ad-un-pubblico-adulto per racimolare qualche soldo, ora sono diventati milionari. Hanno raggiunto il successo nonostante il clima pudico che vige incontrastato per le strade dell’ipocrisia. Un po’ come le vendite di Opus Pistorum: nonostante tutto si continua a ristamparlo, altro che divieto.

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