Da bambina trascorrevo molto tempo nella casa dei miei nonni paterni. I fratelli di mio padre sono molto giovani. Considerate che il suo fratello più piccolo ha solo sei anni in più di me. Tutti nella famiglia hanno sempre avuto una passione sfrenata per la musica rock.
Nelle due camere comunicanti c’erano sempre pile di vinili, musicassette e cd. Appeso al muro di una di esse c’era un bellissimo poster di Bob Marley. Nell’altra invece ricordo molto bene un poster dei Rage Against The Machine. Insomma, sono cresciuta ascoltando buona musica.
I miei zii la domenica, prima di pranzo, si sedevano sul divano nella sala imbracciando una chitarra acustica e strimpellavano spesso i grandi classici. In quella camera c’erano due chitarre acustiche, due chitarre elettriche e un basso, insieme a una quantità indefinibile di plettri.
Oltre a suonare per noi, due dei miei zii avevano una band, gli Area 51. Abbiate pazienza, era la fine degli anni ’90. Una volta mia zia, l’unica sorella di mio padre, mi fece il frisé, quella orrenda piastra con le placche a zigzag che ti increspava i capelli anche se li avevi liscissimi come i miei. Una volta completata l’opera, chiamò mio zio: -Non ti sembrano i capelli di Eddie Vedder?
E giù grasse risate, senza sapere che Eddie Vedder era — ed è tuttora — un gran figo. Ma basta divagare. Un pomeriggio, dopo aver pranzato con loro, entrai in bagno. Mi sedetti sul cesso e guardai verso il davanzale della finestra. C’era un libretto di circa venti pagine, di formato perfettamente quadrato. Attirò la mia attenzione perché era di un fucsia acceso, con dei particolari sull’azzurro. Lo presi tra le mani. In copertina c’erano i Nirvana. Avevo sedici o diciassette anni e in quel periodo ascoltavo musica punk. Dei Nirvana conoscevo i classici, solo quelli. Presi a leggere quel libricino seduta sul bagno. In pratica era una cronologia della storia dei Nirvana, compresa di foto scattate ai live, copertine di album e fogli sparsi scritti ossessivamente da Kurt Cobain.
Mi piacevano i Nirvana. Incarnavano quello che non mi era permesso, ovvero tutto quello che mi andava di fare. Passai una buona mezzora, sempre seduta sul cesso, con i piedi che si addormentavano ogni tre minuti per la posizione non proprio comoda, a leggere il racconto delle ultime ore di vita di Kurt.
Ricordo che alle scuole elementari c’era questa bambina che un giorno chiese al gruppetto che le si era formato intorno se sapevano chi fosse Kurt Cobain. Sì, io a otto anni non sapevo chi diavolo fosse. E lei ci spiegò, quasi delusa dal fatto che non lo conoscessimo, che era il cantante dei Nirvana. Poi ci disse che si era suicidato: — Si è buttato da un balcone, pensava di saper volare.
E noi annuimmo, in fondo chi cazzo conosceva Cobain? Quando lessi da quel libro — abbiate pazienza, nel 2006 avevo a stento il computer fisso, tra l’altro senza connessione — che non si era lanciato nel vuoto, ma che si era sparato un colpo in testa con un fucile, pensai, ma tu guarda quella stronza! In fondo neanche lei sapeva niente di Kurt. Distolsi l’attenzione dal pensiero della mia ex compagna di classe. Vidi Last Days di Gus Van Sant, giusto per curiosità. E anche per la presenza di Michael Pitt, che mi piaceva molto come attore perché era la brutta copia di DiCaprio. Ma questa è un’altra storia. Insomma Last Days non mi era piaciuto per niente. Il cinema di Van Sant o lo ami o lo odi. Ed io, guardando quel film così spoglio, mi annoiai a morte. Magari adesso, con la giusta maturità, potrei anche apprezzarlo. Ma ehi, datemi tregua!
Ultimamente però mi sono ritrovata per caso a vedere Cobain: Montage of Heck (2015), il documentario sulla vita di Kurt. E quello che sono riuscita a percepire è la grande sofferenza che si portava dentro quel biondino dagli occhi tristi. Una delle scene che più mi hanno colpito è quella in cui Kurt è nella vasca da bagno insieme a Courtney Love, sempre con le tette al vento, e la piccola Francis Bean. Lei gli dice di essere davvero felice in quel momento e lui risponde che la pensa allo stesso modo.
In pochi nutrono simpatia verso la Love. Io stessa non ci ho mai visto chiaro nella morte di Kurt, che soffriva di una forma paranoide di depressione, quel male che lo aveva portato a nutrire seri dubbi sulla fedeltà di sua moglie. Ma non credo che puntare il dito contro Courtney sia giusto. Non perché io pensi che lei non abbia influito nella morte di Kurt, più che altro penso che la paranoia sia un mostro nero che ti mangia vivo e a volte neanche le rassicurazioni altrui riescono ad attenuare quel senso di vuoto. In più Cobain aveva già la sua dose di problemi precedenti all’incontro con Courtney.
Montage of Heck è un documentario che rappresenta tutto in modo reale. Attraverso i filmati girati da Kurt e Courtney, fotografie, testimonianze dirette degli amici di Cobain, fogli volanti su cui lui stesso dava forma reale al suo malessere, flyer dei concerti e anche parti d’animazione che rappresentano la vita di Kurt. Tutto ciò che provava, tutto ciò che non era realmente visibile e che invece si ripercuoteva nella sua vita, viene reso da Montage of Heck in modo assolutamente pulito.
La rabbia, la paranoia, la tristezza e tutto quello che c’è dietro, si palesano in quella famosa clip tratta dall’MTV Unplugged a New York. Ed è quella che chiude il documentario, che scorre fino alla fine. Riguardando il video della meravigliosa Where did you sleep last night mi rendo conto di quanto stanco fosse Kurt, che dopo la performance appare piuttosto confuso. In Montage of Heck però non appare la lettera che Cobain lasciò prima di suicidarsi, quella che molti decretarono semplicemente come il suo addio alla musica, e che invece era un addio totale intriso di apatia e autocommiserazione.
Ai titoli di coda parte Smell Like Teen Spirit, il brano che è diventato l’anthem dei Nirvana per eccellenza. E quella voglia di ascoltarla ancora una volta porta a non spegnere la tv solo perché sono partiti i titoli di coda, che si rivelano il prolungamento dell’eredità di una band che ha scritto le pagine della storia del rock in modo scomodo e sincero. Questo si riesce a percepire negli ultimi secondi dei titoli di coda, in cui viene lasciata la parte finale di Smell Like Teen Spirit. Senza musica. Urlata in modo rabbioso, proprio com’era Kurt.