Siamo abituati a ritenere il viaggio come mera dislocazione fisica. Si salta in auto, si aspetta un treno, si prende un volo — possibilmente senza troppi scali –, diretti verso la meta che più preferiamo. Programmiamo ogni singola fermata: una visita lì, in quel posto famosissimo, ritrovo di tanti altri che prima di noi hanno osannato il valore monumentale. «Visto che ci siamo, potremmo fare un giro in quell’altro posto magico» potrebbe aggiungere qualcun altro. Prima della partenza ci segniamo le varie tappe da rispettare. Più le segniamo e più la scoperta si annienta. Ci prefiggiamo ogni singola fermata senza mettere in conto la particolarità che un minimo dettaglio sul posto ci può trasmettere. Dobbiamo rispettare i piani, altrimenti saremo in ritardo. In questo modo, anche quella che riteniamo un’occasione di svago, relax, e ricerca interiore, assume i tempi e le sembianze che popolano tutti i luoghi di lavoro. È l’eterna corsa all’efficienza, bellezza! Il viaggio si trasforma in un calvario, altro che «vado finalmente ad immergermi in un paradiso fatto di sabbia bianca e mare cristallino.»
Ci sono infiniti altri modi per viaggiare e godersi in pieno la scoperta — ammesso che essa avvenga. Non nutro alcuna forma di odio nei confronti dei classici turisti. Loro viaggiano in estate durante l’attesissimo periodo di ferie. Altri invece viaggiano tutto l’anno. Si mette a soqquadro il web per incappare nella giusta promozione, nel giusto pacchetto famiglia e via a preparare liste e bagagli. Oppure si può semplicemente rimanere comodi sul proprio divano — o dove meglio vi pare — e iniziare a scorrere, pagina dopo pagina, un buon libro. La letteratura, oltre a farti vivere le vite degli altri, ha il dono di farti prendere tutti gli aerei, tutti i treni e tutti i passaggi in auto dagli sconosciuti e condurti in innumerevoli direzioni possibili. I personaggi e i loro vissuti, sono collocati all’interno di contesti che avvolgono l’intera vicenda narrata e l’arricchiscono di quel fascino estremo che sempre desideriamo avvertire in prima persona. Leggere ti fa vivere infinite volte, ma allo stesso tempo ti fa scoprire posti a cui mai avresti pensato prima. La nostra immaginazione prende il via attraverso le parole che incontriamo, dando vita ad uno dei più alti livelli di intrattenimento — si spera — a cui ci sottoponiamo. Il viaggio mentale non ha limiti. Nessun intoppo ostacola il nostro cammino. Nessuna gomma bucata o ritardo dei mezzi di trasporto ci impedirà di giungere a destinazione e assaporare i particolari di un posto tanto desiderato.
Personalmente conosco un altro modo per viaggiare: la fotografia. Vi sembrerà strano, dato che in essa il luogo si materializza concretamente, concedendo un bassissimo margine di spazio all’immaginazione. Invece no: davanti ai nostri occhi abbiamo un istante ritratto ed espresso nella sua fisicità — la pellicola oppure l’immagine sullo schermo — ma non conosciamo la storia del soggetto ritratto. Se nella letteratura ci affidiamo alla voce narrante per arrivare a determinati traguardi, nella fotografia ci affidiamo all’occhio dell’autore che attraverso il mirino ha scelto di immortalare un preciso istante della sua vita. Abbiamo la possibilità di vivere quello che lui ha vissuto proprio come avviene con un romanzo, con un racconto, con una poesia. L’immersione nell’opera — letteraria o fotografica — avviene nello stesso modo. Quando ci si rivede nell’opera artistica altrui, allora avviene la nascita della sintonia che consente una comprensione più profonda rispetto a quella di una persona che rimane indifferente perché non è stata colpita affatto. Le emozioni e i sentimenti che vengono fuori sono densi di unicità, contraddistinguendo l’individuale impressione che in noi scaturisce dopo aver letto un libro o dopo aver guardato una foto.
Negli ultimi giorni ho intrapreso un nuovo viaggio. Ho visionato alcune opere della fotografa francese Lise Sarfati. Fino ad oggi ha immortalato le condizioni di posti molto diversi tra loro — Francia, Russia e Stati Uniti. In particolare sono rimasto colpito dalla serie di scatti prodotta dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti. Con The new life (2003) — inspirata da La vita nova di Dante — ha catturato la quotidianità della solitudine dei giovani americani. I soggetti mostrano le linee rappresentative della condizione umana a cui loro stessi sono sottoposti. La bravura di Sarfati sta proprio nell’aver ritratto un parallelismo tra la solitudine delle persone e la solitudine dei luoghi. Le tonalità fredde trasmetto il disagio, ma allo stesso tempo comunicano i tentativi di ricerca interiore. Non sono solo adolescenti vittime dell’esclusione e dell’inadeguatezza che segna un’età difficile da gestire. Nei loro occhi si intravede anche la volontà di conoscere se stessi in uno stato che in molti crea gli allarmismi che ben conosciamo. Una sorta di reazione al male che vivono. Come se nel buio fitto cercassero un piccolissimo spiraglio di luce.
Lise Sarfati, The new life — Asia #14 North Hollywood, CA 2003
Lise Sarfati ha realizzato diversi progetti negli Stati Uniti, tra cui Austin, Texas (2008) e On Hollywood (2010). I suoi lavori sono stati esposti nelle più importanti gallerie di tutto il mondo, tra cui la Galleria Sozzani di Milano, ricevendo elogi da gran parte dei critici. Da sempre ritenuta un’artista fondamentale nel suo campo, ritrae situazioni minimaliste che consentono di indagare al meglio la condizione umana. Possiamo quasi definirla come colei che ritrae perennemente il disagio, amplificando in maniera esponenziale i problemi che affliggono la società contemporanea. Non a caso il suo stile è facilmente distinguibile sopratutto per la scelta dei soggetti, che tratteggiano il confine tra il mondo degli adolescenti e quello degli adulti. Immagini di vita quotidiana che non hanno bisogno di fronzoli per esprimere il messaggio incentrato sempre sulla dualità della vita — Mother and Daughter (2005–2007) è un altro esempio.
Lise Sarfati, The new life — Robin #43 Oakland, CA 2003
Il viaggio che ho condotto mi ha portato alla scoperta di una fotografa che prima non conoscevo. Ho ammirato i soggetti, i luoghi e le intere situazioni che ha scelto di ritrarre. Un’America sempre dimenticata, sempre messa in secondo piano perché rispecchia una condizione che a molti non piace, eppure esiste. In letteratura viene da pensare subito alle opere di Joan Didion, alle prese con quella realtà che Lise Sarfati è riuscita a mettere su pellicola. Un po’ come la Sad Girl impersonata e raccontata dalla musica di Lana Del Rey.
Ebbene sì, è stato un viaggio in cui oltre a scoprire luoghi che da sempre desidero visitare, ho felicemente constatato l’ottima convivenza tra scrittura e fotografia.
Lise Sarfati, The new life — Stephanie #04 Portland, OR 2003
Lise Sarfati: Sito web