“La vita è un’isola di estasi in un oceano di noia e, dopo i trent’anni, è raro veder terra. Nel migliore dei casi vaghiamo da una smangiata striscia di sabbia a un’altra, ben presto assuefatti a ogni granello di sabbia che vediamo”.
Caro lettore, se la tua vita è un’isola e il tuo oceano di noia non ti tormenta allora non leggere L’UOMO DEI DADI di Luke Rhinehart (pseudonimo di George Powers Cockcroft), questo romanzo non fa per te, potrebbe sconvolgerti. Passa oltre, cercati una lacrimevole storia d’amore con baci struggenti e passioni edulcorate, magari con un leggiadro finale di fiori profumati e spicciola felicità. Stai alla larga da L’UOMO DEI DADI perché la storia è tutta tormento, pensiero, follia e sesso senza inibizioni.
Il dottor Luke Rhinehart (nome sia dell’autore che del personaggio del romanzo) è un affermato psichiatra newyorkese con studio a Manhattan, una moglie e due figli. Ha tutto ciò che un uomo nella sua posizione possa desiderare, eppure qualcosa lo affligge: “Il massimo che ero arrivato a sperare era di liberare un paziente dall’ansia e dai conflitti: di farlo passare da una vita di stagnazione tormentata a una vita di stagnazione compiaciuta”.
Il dottor Rhinehart è stanco, si sente in trappola e tutto ciò che lo circonda gli è indifferente, le scelte e le azioni quotidiane non gli appartengono più. La sua esistenza gli appare come una grande prigione di soffocanti abitudini.
“La maggior parte di noi, per tutta la vita, passa da una cosa all’altra meccanicamente, senza pensarci. Studiamo, scriviamo, mangiamo, flirtiamo, fornichiamo, fottiamo in base a schemi abituali”.
Una sera, dopo il consueto poker tra amici, Luke avverte una rabbia incomprensibile, una rabbia senza premeditazione e senza obiettivo. È solo nel suo salotto, tutti sono andati via, la moglie Lil è già a letto. Mentre mette in ordine le carte da poker, i gettoni e le sedie si accorge che manca uno dei due dadi. Poi vede sul tavolino accanto alla poltrona una carta, la regina di picche, e sotto la carta il dado mancante. Ed è in quel preciso istante che ha un’illuminazione: “Ricordo vagamente un orologio elettrico che ronzava sul caminetto. Poi l’urlo di una sirena da nebbia rimbombò nella stanza dell’East River e il terrore mi strappò le arterie dal cuore e le annodò strette al mio ventre: se quel dado ha la faccia con l’uno girata in alto, pensai, vado da basso e violento Arlene (ndr: moglie del suo migliore amico). «Se è un uno, violenterò Arlene». […] l’uno significa stupro, gli altri numeri significano letto, il dado è tratto. Chi sono io per mettere in discussione la scelta del dado? Raccolsi la regina di picche e vidi un occhio ciclopico che mi fissava: un uno”.
Il dado aveva scelto per lui e niente più poteva fermarlo. Non provò nessun senso di colpa né prima, né dopo. Ma quello che lui aveva immaginato come uno stupro non fu una vera violenza perché Arlene desiderava lui almeno quanto lui l’aveva sempre desiderata. Dunque non uno stupro ma la prima piacevole scopata con quella che poi diventerà la sua amante.
Luke, schiavo delle convenzioni e delle abitudini, è finalmente libero. Ma fin dove poteva spingere quel gioco? Preso da una nuova e irrefrenabile eccitazione lascia che sia il dado a decidere anche sulle questioni più banali. Le alternative che associa ad ogni numero prima di tirare il dado diventano via via sempre assurde e azzardate. E lui le esegue senza mai un tentennamento o un ripensamento. La complessa teoria dell’Uomo dei dadi diventa la sua fede e, come ogni religione, raccoglie proseliti e sostenitori. Il gioco si fa perverso e apparentemente senza logica.
All’inizio, L’UOMO DEI DADI mi è parsa una storia sopra le righe, la storia di un ricco borghese che cerca di smuovere la sua noiosa vita: “Lil e io ci eravamo incontrati e accoppiati quando avevamo entrambi venticinque anni. Avevamo alimentato un profondo, irrazionale e ovviamente nevrotico bisogno reciproco: amore, una delle forme di pazzia più accettate socialmente. Ci eravamo sposati: la soluzione della società alla solitudine, al desiderio e alla lavanderia”.
Ma la verità è che il romanzo mette in discussione l’intero sistema psicoanalitico che ha cercato – senza riuscirci – di addomesticare il male di vivere di ogni essere umano.
“Ogni volta che considero le psicoterapie occidentali degli ultimi cento anni mi sembra incredibile che nessuno riconosca il fallimento quasi totale di queste terapie nel curare l’infelicità umana.”
“Il segreto, mi parve di imparare, stava nel non prendersela, nell’accettare limitazioni, conflitti e ambiguità della vita con gioia e soddisfazione, nel lasciarsi andare senza sforzo al flusso dell’impulso. La vita è dunque senza significato? Che importa. Le mie ambizioni sono banali? Proseguile ugualmente. La vita sembra noiosa? Sbadiglia”.
Magari bastasse sbadigliare per dimenticare le nostre insoddisfazioni e tutto ciò che giorno dopo giorno ci trasforma in cadaveri imbellettati pronti per la recita quotidiana in cui l’unico attore è l’io dominate. Un io che rispetta le regole imposte dalla società, che fa esattamente quello che fanno gli altri senza ribellarsi mai.
Eppure “Ciascuno di noi ha centinaia di io potenziali repressi che non ci permettono mai di dimenticare che per quanto energicamente camminiamo lungo lo stretto sentiero della nostra personalità, il nostro più profondo desiderio è di essere multipli: di recitare molte parti”. La soluzione dunque è distruggere l’io per distruggere l’ovvio e far posto a qualcosa di nuovo, qualcosa che prima non esisteva: l’Uomo dei dadi. Un uomo multiplo che affida tutte le sue scelte-azioni al Caso, anche se è evidente che la casualità in fondo non è del tutto casuale.
Il nuovo Uomo è finalmente libero di muoversi in una società malata di onestà e franchezza: “L’onestà e la franchezza? Ma è quanto di peggio possa esistere nei rapporti umani normali. ‘Mi ami davvero?’: questa domanda assurda, così tipica delle nostre menti malate, dovrebbe ricevere sempre la risposta ‘Mio dio NO!’ o ‘Il mio amore è più che semplice realtà: è immaginario’. Più uno cerca di essere onesto e autentico, più si troverà bloccato e inibito. La domanda ‘Cosa provi realmente per me?’ dovrebbe sempre ricevere in risposta una frustata sui denti. Ma se si chiedesse a uno: ‘Dimmi in modo fantasioso e immaginario quello che provi per me’, quello sarebbe libero da quella nevrotica esigenza di unità e verità. Potrebbe esprimere uno qualunque dei suoi io in conflitto. Uno alla volta, naturalmente. Sarebbe in grado di recitare ogni ruolo fino in fondo. Sarebbe una cosa sola con la sua schizofrenia.”
Soltanto rinunciando alle abitudini che rendono posti infernali anche le più soddisfatte esistenze, sostiene il dottor Rhinehart, si arriva all’elevazione divina del Caso. Perché sentirsi in trappola è il dolore più grande che un uomo possa provare e il sentirsi in trappola crea l’infelicità e l’infelicità non può essere curata. E quindi addio alle convenzioni sociali e morali, ciao ciao a qualsiasi teoria psicoanalitica. Rhinehart ribalta tutto e chiunque, seguendo le scelte del Dado può diventare un assassino, un bugiardo, un ladro, una ninfomane, uno stupratore, un omosessuale o un pedofilo.
Però ben presto Luke scopre i limiti della sua teoria e pur avendo rinunciato a tutto si sente ugualmente in trappola: “un anno prima era annoiato e inquieto; adesso era sovraeccitato e inquieto”.
“La libertà, lettore, è una cosa spaventosa: così hanno detto Jean-Paul Sartre, Erich Fromm, Albert Camus e così ci ripetono continuamente dittatori di tutto il mondo. […] Il problema della noia, che il Dado aveva risolto con tanto successo, pareva riapparire ora che mi avvicinavo a uno stato di libertà totale. […] dovetti ammettere che adesso che ero libero di non essere assolutamente niente stavo diventando uno che non si interessa assolutamente a niente: un’evoluzione scoraggiante. […] Volevo riposare. Avevo lasciato Lil: un grande trionfo (ero stanco). Volevo andare alla deriva in pace […]”
Ma andare alla deriva, optare per la distruzione assoluta, ha il suo prezzo da pagare e quella che sembrava la soluzione al male di vivere svanisce quando raggiunge l’apice, quando tutte le esperienze sono state fatte e non c’è più nulla da scoprire o da provare. E quando tutto appare perduto arriva una nuova alternativa e il gioco, forse, ricomincia.
***
Caro lettore, spero mi perdonerai se la recensione che hai appena letto ti apparirà incompleta e poco dettagliata ma quella narrata da Luke Rhinehart è una storia molto molto complessa. Però attento: se la teoria dei dadi ti ha affascinato e credi di intravedere la soluzione alla tua infelicità non lasciarti ingannare, nel romanzo non troverai le risposte che aspetti da tempo perché “Il bello delle risposte… il bello è che non ci servono a niente […] Sapere la risposta non ha importanza. Non c’è bisogno di sapere”.
L’UOMO DEI DADI – LUKE RHINEHART – Marcos y Marcos
©MimmaRapicano_2018