Le opere esposte al Museo Civico Archeologico di Bologna in occasione della grande mostra Oltre l’onda – Capolavori dal Boston Museum of Fine Arts [12 Ottobre, 2018 – 3 Marzo, 2019], sono tantissime, almeno duecentocinquanta, e camminare tra le stanze del quattrocentesco Palazzo Galvani, ex “Ospedale della Morte”, circondati da silografie policrome tanto antiche, che tuttavia nulla invidiano alla contemporaneità, è un atto quasi religioso, come se stessimo percorrendo la strada che conduce al Nirvana.
È la sensazione, molto rara in questi nostri giorni contemporanei, di cessazione del tempo, di languida stasi, di equilibro sospeso. Sembra di ritrovare la pace interiore persa in luoghi lontani, il respiro si fa più calmo, i battiti più lenti, le onde cerebrali procedono ad una frequenza ribassata. I muscoli si distendono, la pressione diminuisce. Eppure, in questa sorta di sogno, siamo svegli. È una veglia ricca di curiosità, carica di stimoli, densa di colori. Le pennellate sono decise, le tinte vivide, la mano di chi ha realizzato tutto questo era ferma.
Si aprono davanti ai nostri occhi dei paesaggi ampi, degli scenari orientali fatti di ritmi quotidiani – animali, fiori, genti, monti – e basta un niente per ritrovarci a danzare, cautamente ma con allegro trasporto, tra le silografie di Hokusai e Hiroshige e le pellicole di Miyazaki. Perlomeno questo è quello che ho provato io: è stato come vedere un sottilissimo filo teso in un dialogo proficuo, tra le opere dei due pittori giapponesi ottocenteschi e le languide atmosfere che emergono dai film del regista di Tokyo.
Katsushika Hokusai, La grande onda di Kanagawa, 1830-31
Proprio questa città è una delle protagoniste onnipresenti della mostra, nella sua versione di centosettant’anni fa, quando si chiamava Edo. Un posto magnifico dove storie e strade s’incontravano. Dove c’erano pace, sfarzo, momenti di meditazione, ore lussuriose, giornate intere da dedicare alla produzione di immagini del mondo fluttuante, ukiyōe, le preferite dell’aristocrazia del tempo.
In un ordine più o meno sparso, tra la produzione di Hokusai e Hiroshige, ci si immerge in un contesto dove mancano appigli sicuri per far ritorno nella nostra realtà. Una circostanza nella quale affiorano, come spiriti da un mondo sommerso, uomini su ponti traballanti che trasportano sulla schiena covoni di paglia, alberi sacri, vecchie e dimenticate leggende, figure umane in paesaggi innevati, bollitori del tè sui rami antichi di robusti aceri, case abbarbicate su coste rocciose, uomini che in giornate ventose rincorrono i loro cappelli di paglia (kasa) e poi carpe, tartarughe giganti, delicatissimi fiori.
Katsushika Hokusai, Il pescatore di Kajikazawa, 1830-31
Katsushika Hokusai, Ejiri nella Provincia di Suruga, 1830-31
È difficile tornare indietro perché in quei posti ci si resterebbe volentieri, tanto si sta comodi. Molti non sono tornati, come succede con Bangkok, alcuni sono ricomparsi più forti e coraggiosi, come la carpa di Hiroshige, un drago delle nuvole che risale il torrente, altri ancora sono riemersi come persone nuove, tanto che hanno deciso di cambiare nome per la nuova fase della loro vita che si è aperta a seguito della mostra. Anche Hokusai ha cambiato spesso nome, in linea con una tipica tradizione giapponese. A inizio carriera si firmava come Shunrō che significa splendore di primavera, ma è ricordato come Hokusai, che vuol dire studio della stella del nord.
«Conosci il nome che ti hanno dato, non conosci il nome che hai» direbbe Saramago.
Questa non vuole essere la descrizione puntuale di una mostra, questo scrivere si vuole porre solo come un tentativo di indagine su quello che resta dopo tutto e alla fine di ogni cosa. Non è facile fornire una degna risposta a quella che è una domanda piuttosto ingarbugliata. Ci si chiede che cosa ci sia al di là dell’onda, ma ci si dovrebbe domandare che significato ha, nella sua essenza più pura, quell’onda. È una cura per lenire le nostre ferite? Un solvente per i nostri peccati?
È l’immagine di quella fine auspicata da Pavese ne La Luna e i falò quando scriveva «Magari è meglio così, meglio che tutto se ne vada in un falò d’erbe secche e che la gente ricominci»? Un’onda, insomma, per ricominciare. Come quando il mare di fine settembre si trascina via di nuovo i detriti delle mareggiate che lui stesso aveva portato a riva. Il mare che si riprende ciò che gli appartiene.
Utagawa Hiroshige, Acquazzone sul ponte Shin-Ōhashi ad Atake, 1857
Utagawa Hiroshige, Carpa, 1840-42
Cosa troveremo, allora, oltre l’onda? Che ci sarà dopo quegli spruzzi di spuma densa, oltre le note di contorno sfrangiate di quella che è unicamente acqua marina incisa su legno, impressa su carta e poi colorata? Al di là della montagna di vita – perché la vita è un evento acquatico – troviamo l’Immenso nella sua rappresentazione più umana e nell’opera di Hokusai più frequente e abusata: il monte Fuji, che vuol dire L’Infinito.
Attraversiamo così, onda dopo onda, le nostre esistenze. E alla fine ci ritroveremo naufraghi su qualche isola deserta. Con niente tranne che una manciata di sogni e alghe in testa che ci coprono la vista.
In questo momento le parti si ricongiungono in questo orizzonte in trambusto con più di una barca in un instabile equilibro. Imprigionata tra onde come artigli, per dirla à la Van Gogh. «Quelle onde sono artigli, la nave vi è imprigionata, lo si sente». Ci sentiamo in qualche modo al sicuro, come se in mezzo alla tempesta perfetta, fossimo salvi, redenti dalle nostre colpe. Pronti per una qualche fine, a faccia a faccia con l’Eterno. Non abbiamo paura, perché la paura è inutile in questa circostanza. Siamo unicamente consapevoli e procediamo, nell’orizzonte fluido, colmi di un consenso languido e forse osceno.
Avremo dei ricordi, probabilmente, oltre l’onda: ricordi di speranze, sorrisi, qualche canzone, qualcosa in cui credere, stendardi da portare, dolori con i quali confrontarci. Oltre l’onda resteranno i pensieri belli, la risacca pericolosa e magnifica e un leggero vento di Scirocco, da sud-est.
Some songs
The Tallest Man on Earth, Love is All, The Dreamer, Rivers
© Iole Cianciosi