Miguel. Com’è che si dice in spagnolo? Hola, como estas? Non dovrebbero andarci degli strani punti interrogativi all’inizio della frase? Forse a testa in giù? Proprio come mi sento io in questo momento¿
Perché la gente fa così? Lanciare la pietra e poi tirare indietro la mano? Lanciare un aeroplanino e poi sparire senza spiegazioni? No, perché uno comincia a farsi due domande. Be’, più di una a quanto pare. Pensate che mosaico di punti interrogativi sarebbero state queste quattro righe se le avessi scritte in spagnolo.
O se le avesse scritte Miguel, con quella sua calligrafia a zampa di gallina. Ho fatto un paio di ricerche, sapete? Una calligrafia piccola indica una personalità timida, introversa e le lettere, tutte vicine vicine, abbracciate, la difficoltà a restare da soli. Il che è abbastanza contraddittorio.
Però questa è la giornata delle domande. Quindi procediamo.
Può una persona timida e solitaria soffrire la timidezza e la solitudine? Non è forse proprio in momenti come questo che ci si ritrova a pensare: “Cazzo, come sono stato idiota quella volta! Avrei dovuto mettere da parte i dubbi e partire?”. O meglio: “Quando tutto questo sarà finito, andrò da lui/lei e rotolerò fuori i miei sentimenti. Dirò ti-amo e che Dio me la mandi buona”. O potrebbe essere anche qualcosa di più pratico, del tipo: “Smetterò di sedermi da solo/a in mensa, affondando la faccia nella sciarpa e sperando di essere invisibile a tutti”.
Non lo so, è questa la mia domanda. Cosa si può trarre di buono da questa situazione? Il fatto è che le mie notti insonni non mi hanno regalato alcuna perfetta risposta. Quindi mi tocca chiedere a voi. Che lezione avete imparato da tutta questa merda? (Forse sarebbe più carino se ci mettessi un punto interrogativo a testa in giù¿).
Miguel. Chissà che replica avrebbe da darmi.
Sto aspettando, in realtà. Perché gliel’ho chiesto, sì. Prima ho buttato le pantofole con i pompon. L’avevo promesso. Poi, ho sfruttato la mia bellissima e calda notte insonne per pensare. Pensare a un modo per fargli recapitare un messaggio. Non sono un’esperta di aeroplanini e la sua finestra è troppo in alto rispetto alla mia. Origami bocciato.
Non ci ho messo molto a slacciare questo punto interrogativo. Almeno questo. Ho preso un foglietto di carta, ho buttato giù due frasi, cercando di non esagerare con le domande, ho infilato le scarpe da ginnastica sotto al pigiama e sono scesa.
Non lo facevo da un po’. Una settimana almeno. Quando ho messo piede sull’asfalto della strada mi sono sentita come Neil Armstrong alle 02:56 UTC del 21 luglio 1969 (cito testualmente). Lui mise il piede sulla luna, io su una parvenza di normalità. Due cose estremamente diverse ma, se ci pensate bene, così terribilmente simili ora.
Ho attraversato quei venti metri che mi separavano dall’edificio di Miguel con un’emozione infantile, il foglietto strettissimo tra le mani. Mi sono fermata davanti alla casella dei citofoni, cercando il suo nome. No, non sono pazza, non volevo suonare il campanello a quell’ora della notte. Ero solo curiosa di scoprire il suo cognome. Il fatto è che ho trovato due possibili vincitori: M. Luna (coincidenze? Ma poi Luna non è un cognome italiano? Su Google compariva tra i cento cognomi più diffusi nei paesi latino-americani e ho pens…sì, ok basta) oppure M. Godoy – T. Barale.
Ora. O il mio misterioso Miguel è sposato o ha un strano cognome che mi parla tanto di destino. O nessuno dei due? Troppi punti interrogativi. Che però mi sono serviti per, in ordine: girare i tacchi, inciampare sulle scale (sapete, non si è più abituati a deambulare), correggere il destinatario da “per Miguel” a “per Miguel-il pianista dell’ultimo piano”, ritornare di sotto, posare di nuovo i piedi sulla luna e, finalmente, infilare il foglio sotto il portone blindato del suo palazzo.
Beh, ho fatto del mio meglio, non c’è bisogno di criticare. Un mese fa non mi sarei mai sognata di compiere un atto così cinematografico. Lo ha fatto anche la mia vicina, sapete? Mi ha passato un piccolo vassoio di biscotti al burro, dal suo al mio balcone. Certo, stando attenta a non farsi toccare le dita. Però è da apprezzare. L’unica cosa che mi passava, un mese fa, erano le bollette del condominio.
Magari anche lei ha imparato qualcosa da questa situazione. La gentilezza? La solidarietà?
Ma ecco che ricomincio con i punti interrogativi. Va bene, la pianto.
Spero che il mio messaggio per Miguel non vada perduto, non so… schiacciato sotto una scarpa, mangiato da un cane, buttato via come una comunicazione petulante della banca o semplicemente perduto e basta.
Non vi sembra romanticamente all’antica questa cosa? Io ho un debole per le cose romanticamente antiche. Anche le domande lo sono. I punti interrogativi. Gli origami. Le scarpe da ginnastica sotto al pigiama. Le passeggiate sulla luna, a perdita di tempo. Il mio nome.
Anche il mio nome lo è. Agata. Starebbe bene con Miguel, no? Un po’ da telenovelas messicana.
Hola, como estas? Se anche tu sei solo, vuoi farmi compagnia in questo isolamento? (Ancora punti interrogativi).
Gliel’ho chiesto. Nel mio foglietto, intendo. Quindi se vogliamo sapere cosa risponderà, preghiamo che non vada perso.