Giunto al temine della lettura di questa interessantissima raccolta di racconti, ho cercato di comprendere se al suo interno ci fosse o meno un unico filo conduttore che tiene unite le storie che si susseguono. Poi ho compreso che la chiave interpretativa di Rosa Shocking (Edizioni Clichy, traduzione di Sara Reggiani, 2015) di Adam Levin sta proprio nell’uso quotidiano che facciamo delle parole. Tutti i racconti giocano, senza alcun contrasto, tra i significati di ogni singola espressione su cui magari siamo abituati a sorvolare.
Le tematiche narrate vertono su gran parte dei tratti della società contemporanea in cui viviamo. Incomprensioni familiari, omosessualità, morte e sfighe colossali sono le prime che mi passano per la mente.
Levin è una delle voci emergenti del panorama letterario statunitense. Il suo romanzo d’esordio è The Instructions (2010), ancora inedito nel nostro paese. Ha seguito i corsi di scrittura creativa presso la Syracuse University — tra i cui docenti figurava un certo George Saunders — nonché fucina di alcuni scrittori di un certo rilievo — tra gli allievi degli anni precedenti spicca il nome di McInerney, mentre tra i docenti troviamo un Carver in forma smagliante.
Il surreale ed il bizzarro si susseguono in un primo momento, fino a cedere lo spazio necessario alle dovute riflessioni. Nel racconto di apertura, una famiglia vive il lavoro del padre all’insegna dell’eterno sacrificio negli anni per via dell’invenzione del secolo, ovvero Bonnie, la bambola che di lì a qualche anno avrebbe cambiato le sorti della formazione e dell’educazione delle bambine americane. Lo stesso titolo del racconto, Frankenwittgenstein, vuole condurre il lettore dinanzi al duplice dominio narrativo che emerge dalle pagine: la fusione tra Frankenstein — che rappresenta il cammino che porta alla nascita in laboratorio di Bonnie — e Wittgenstein — che invece rappresenta la meticolosità teorica a cui l’inventore ricorre per raggiungere il risultato finale.
Tra i racconti che più ho apprezzato ci sono La Fine Dolceamara di Susan Falls e RSVP. Quest’ultimo è stato forse quello che più mi ha colpito, dato il grosso equivoco che si crea nella prima parte tra Donald e Janet e che darà una certa impronta prosecutrice nello svolgimento del resto della storia.
In Rosa Shocking — ultimo racconto che da il nome all’intera raccolta — ho ritrovato un passo che, a mio avviso, riflette il grande sforzo che fanno le parole per descrivere quello che si manifesta ai nostri occhi:
Era come se Nancy fosse stata vestita di rosa shocking. Vedere quel colore mi avrebbe dato una specie di scossa, ma siccome vedere lei vestita di rosa mi dava sempre una scossa, avrei potuto chiamarlo comunque rosa shocking, e avrei avuto ragione, anche se non sapevo cosa stavo dicendo. Avrei avuto ragione grazie ad un vecchio errore. (Pag. 290)
La potenza di Levin sta proprio in questo: aver utilizzato una comicità tale da consentire un gioco significativo attraverso le parole e il giusto uso che di esse si fa. Sdoganare determinati argomenti attraverso un linguaggio fuori dal comune ha consentito di giungere in maniera diretta e precisa al fulcro della raccolta, ovvero celebrare un elogio dell’inettitudine di questi tempi.
Rosa Shocking è il quarto volume della collana Black Coffee di Edizioni Clichy curata da Sara Reggiani e Leonardo Taiuti. Nel frattempo che arrivi la stagione invernale con le sue nuove pubblicazioni, non ci resta che azzardare quali saranno i probabili titoli made in USA che vedranno la luce per la casa editrice fiorentina.