Il romanzo d’esordio di Mary Miller si intitola Last days of California, tradotto da Sara Reggiani e pubblicato da Edizioni Clichy nella nuova collana Black Coffee. Sicurezza è un racconto apparso nel 2012 su Tin House. L’ha tradotto per noi Mariateresa Pazienza.
Lui prepara la cena mentre io sto seduta al tavolino e lo guardo. Vive in un appartamento con altre tre persone, un cane, un ammasso di concime e diversi bidoni per la raccolta differenziata. Appendono i loro vestiti a una corda per asciugarli e mangiano un sacco di quinoa.
E’ il genere di posto in cui mi piace stare. Ci sono un sacco di luci accese, mobili vecchi e un cane in comune. Lui mette le tortillas sul fornello.
“Due?”, chiede lui.
“Una”, gli dico. “Ho pranzato tardi.”
“Non mi permetti mai di nutrirti”, mi dice.
Indossa vestiti attillati che lo fanno sembrare un ragazzino. O forse è il suo taglio di capelli. Le sue lunghe ciocche sono in una busta nella sua camera. Continua a chiedermi di andarci, di toccarle, di sentire quanto siano disgustosi i capelli quando non sono più attaccati alla testa.
Sistema i piatti sul tavolo, poi si siede vicino a me. Mangio sempre sola, perciò sembra che dobbiamo pregare. “Ti è mai successo di essere amato e amare allo stesso modo?”, chiedo. Gli ho già posto questo genere di domanda.
“Non proprio”, dice lui.
“Neanche io.”
Il francese trovò ridicolo il mio discorso sulle percentuali. “Cosa vuol dire amare al 30%? Cosa sono 70/30 o 60/40?”, mi chiesero.
“60/40 sarebbe un sogno”, concordammo su ciò.
Non mi interessa quando tira fuori il periodo in cui è stato a Parigi. E lui lo fa molto spesso. Lì ha lasciato il lavoro e la sua ragazza con cui stava troppo bene per dimenticarsene.
Tutte le ragazze l’hanno amato più di quanto lui le amasse. Tutti i ragazzi mi hanno amato più di quanto io li amassi. E se due persone che hanno sempre amato di meno stessero insieme? Non lo consiglio. Do un morso al mio taco: è vegetariano, piccante. Lui è felice quando mangio. Da al cane un po’ di patate mentre lo guardo. I suoi capelli non mi piacciono. E poi non è abbastanza alto da farmi sentire piccola.
“Penso che siamo orgogliosi di qualcosa di estremamente sbagliato”, gli dico, tirando giù le gambe.
“Non sono orgoglioso di nulla”, dice.
“Pensaci, ci imbarchiamo in relazioni con persone che non amiamo. Così loro non possono ferirci e non siamo certi di vincere. In realtà però siamo noi a perdere.”
“Io non instauro relazioni per vincere”, dice.
Ricordo quella volta in cui gli dissi che mi imbarazzava averlo intorno. Eravamo nel mio appartamento, dove non ci sono persone che vanno e vengono, cani in comune, quinoa. “Pensi che sia più o meno imbarazzante quanto la gente dice di essere imbarazzata?”, disse prima di rispondere alla sua stessa domanda. Sapevo che dopo questa sua affermazione la cosa non poteva funzionare.
Guardo fuori dalla finestra. Uno dei suoi coinquilini sta fuori mentre beve whiskey e fuma. Appena rientra rende l’atmosfera gioiosa, mi chiede cose su di me, mi guarda le gambe. Porto i nostri piatti nel lavello e li insapono. L’acqua è troppo calda, la mancanza di strofinacci mi infastidisce. Poi lavo il resto dei piatti. Quando non c’è altro da pulire, prendo il guinzaglio del cane dalla ciotola e lui comincia a saltare.