Giulia Bersani: 21–22
Usiamo le parole per raccontare qualcosa. Un incontro, un incidente, un istante. Le meningi si spremono ed ecco saltar fuori una storia forbita di nomi, verbi e tutto il resto degli ingredienti. Tutto segue il ritmo dettato dalla punteggiatura — sottintesa quando la narrazione è orale, incisa sulla pagina quando è scritta. Poco importa se l’oggetto del racconto sia vero o falso. Se l’attenzione è colta nel migliore dei modi allora possiamo anche spararla grossa senza destare alcun sospetto in chi ci ascolta. Raccontare qualcosa attraverso la fotografia è rischioso quanto lo è farlo attraverso le parole. La relativa difficoltà vive in entrambe le forme. Mostrare la superiorità di una rispetto all’altra non avrebbe alcun valore assoluto — senza contare che si potrebbe rimanere bloccati come in un vortice che non consente alcuna via d’uscita. L’atto narrativo tiene i fili che uniscono entrambi i mezzi, fino a rendere innocue le diversità tra le rispettive forme. Se la narrazione risulta ben riuscita, allora non ha affatto importanza se essa sia giunta tramite pellicola o tramite pagina. L’obiettivo ultimo è stato …