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Black Mirror: Bandersnatch. Quando giocare a fare Dio è un “trip” che non appaga

[una disguida non convenzionale sull’esperimento interattivo Netflix: dal teorema dell’insoddisfazione al fatalismo 3.0] di Disguido Luciani   – Facciamo che io sono Dio e tu fai tutto quello che dico io? – Ma tutto tutto? – Sì, proprio tutto. Black Mirror: Bandersnatch, l’ultimo esperimento della serie TV britannica targata Netflix, segue lo schema del gioco più vecchio del mondo: uno fa Dio (di solito chi, già da piccolo, palesava accenni di delirio d’onnipotenza o mania del controllo), l’altro la “sua creatura”. Uno il padrone, l’altro il servo; uno il burattinaio, il “puparo”, l’altro il burattino. Il pupo. O, più romanticamente, uno il narratore, l’altro il personaggio. Semplice, no? Già allora, però, se ben ricordate, il gioco non finiva sempre poi così bene. Anzi, diciamo pure che non finiva mai bene.  Il pupo, ad un certo punto (di solito alla prima richiesta “eccessiva”), stanco, si lamentava smettendo di eseguire i comandi. Peggio, si ribellava. E magari iniziava a protestare pretendendo di fare lui Dio. Certe volte, poi, era Dio che si stancava. Ché fare Dio è una …

“Sulla mia pelle”. Purché si guardi, purché se ne parli

[Una dis-guida non convenzionale sul dolore e sulla necessità di una dimensione collettiva, anche da soli] di Disguido Luciani (foto di Rosa Lacavalla) È un luogo speciale quello del Labàs di Bologna. Chi ha vissuto a Bologna lo sa. Un luogo speciale quando lotta per avere una casa per sé. È speciale quando la sua casa la offre. Ancora più speciale quando si fa cinema. E proietta, in barba a chiunque dica no (leggasi “case” di produzione e distribuzione, leggasi Netflix e Lucky Red), Sulla mia pelle, film di Alessio Cremonini sugli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, atteso, qui più che altrove, con aspettative incontrollate e grandi speranze. È un luogo speciale, il Labàs, una casa e una dimensione collettiva. Che tu lo voglia o no, accanto a te c’è una persona, che sia un tuo amico o uno sconosciuto, uno come te. E sicuramente da te diverso. Impegnato, proprio come te, a ritagliarsi il proprio spazio privato senza prescindere dall’altro. Senza prescindere da te.  È un luogo speciale. Dove ti senti parte …

Il Libro delle Bugie

il Libro delle Bugie Il libro delle Bugie è, finalmente, pronto. Purtroppo questa settimana abbiamo avuto qualche intoppo, di natura tecnica e pratica, ma ci siamo riuscite comunque. Questo Librino contiene una selezione di contributi che ci sono arrivati durante la settimana delle BUGIE. Dentro ci sono Bugie con le gambe corte, Bugie infantili, Bugie come macigni, Bugie come menzogne, Bugie bianche. Questo il nostro Libro delle BUGIE*. *(Lo puoi vedere e scaricare e conservare e condividere).  

Surfin’Italy: cavalcare le onde del Belpaese in vista del 2020

di Giovanna Taverni Quando negli anni Novanta la retorica voleva che si sognasse la California, il surf in Italia non era ancora arrivato. Mi ricordo l’estate in cui vagai alla ricerca di una tavola da surf autentica senza successo: tutti mi rispondevano con la stessa solita storia — in Italia c’è solo il windsurf, noi non abbiamo le onde dell’Oceano, fattene una ragione. Deve essere così che ho cominciato a sentire i Sex Pistols. Scoprire di come oggi il surf sia arrivato anche sulle nostre coste è doloroso, ma meglio tardi che mai. Laggiù, verso l’America, esistono addirittura riviste a tema che parlano esclusivamente di surf, con video dedicati alle più grosse imprese sull’arte di tenere il ritmo di un’onda, sono stati realizzati documentari sui più grandi surfisti, i primi pazzi che si sono scontrati contro le onde (si tratta di uno sport piuttosto giovane), sulle coste atlantiche dell’Europa — in Portogallo — ci sono tratti di costa interamente dedicati ai surfisti, e addirittura quest’estate Internazionale ha diffuso un articolo che racconta questo mondo ignoto al pubblico di lettori italiani. Lo avranno letto? …

Questo pezzo è molto Tumbl

Avete mai provato a iscrivervi a un social network per poi pentirvene perché quello non fosse adatto alle vostre esigenze? L’iscrizione è sempre un procedimento piuttosto semplice e sbrigativo. Inserisci nome utente, e-mail ed eventuale password e attendi che il sistema del sito ti invii una mail di conferma per l’utilizzo del sito con tanto di benvenuto e convenevoli vari. Diverse volte mi sono iscritta a dei social network che non avrei mai più utilizzato nel tempo. So che è molto in voga tra i giovanissimi, ma Snapchat proprio non mi va giù. Lo trovo decisamente insulso, a meno che non si utilizzi per inviare foto senza veli, quelle che hanno accompagnato ed anche un po’ sostituito il famoso sexting. Altro social che ritengo inutile — non me ne vogliate -, è Twitter. Far rientrare dei contenuti nei solicentoquarantastramaledettissimicaratteri è un’impresa degna di chi possiede un’altissima capacità riassuntiva. E’ un social adatto alle news, alla condivisione veloce di link, foto e video vari. Dopo aver ripreso a scattare foto, mi venne in mente di aprire uno spazio personale su Tumblr per condividere …

Kurt e la mia infanzia

Da bambina trascorrevo molto tempo nella casa dei miei nonni paterni. I fratelli di mio padre sono molto giovani. Considerate che il suo fratello più piccolo ha solo sei anni in più di me. Tutti nella famiglia hanno sempre avuto una passione sfrenata per la musica rock. Nelle due camere comunicanti c’erano sempre pile di vinili, musicassette e cd. Appeso al muro di una di esse c’era un bellissimo poster di Bob Marley. Nell’altra invece ricordo molto bene un poster dei Rage Against The Machine. Insomma, sono cresciuta ascoltando buona musica. I miei zii la domenica, prima di pranzo, si sedevano sul divano nella sala imbracciando una chitarra acustica e strimpellavano spesso i grandi classici. In quella camera c’erano due chitarre acustiche, due chitarre elettriche e un basso, insieme a una quantità indefinibile di plettri. Oltre a suonare per noi, due dei miei zii avevano una band, gli Area 51. Abbiate pazienza, era la fine degli anni ’90. Una volta mia zia, l’unica sorella di mio padre, mi fece il frisé, quella orrenda piastra con …

Nevrosi Ikea

Avrei dovuto scrivere un pezzo di attualità — che parolone — ma sono finito in una casa diversa da quelle che frequento di solito. Trascorrere metà della giornata lontano dalla mia, per me che sono un abituale sedentario che alterna periodi di stasi cronica a sconclusionati momenti di euforica tranquillità, mette addosso una strana sensazione di inadeguatezza. Tutto il resto sembra passarmi davanti agli occhi seguendo il solito ritmo indecente. In conclusione sono finito dietro una scrivania a sfogliare l’ultimo catalogo Ikea, quello da consegnare una volta giunti alle casse nell’apposito spazio. Beh, qualcuno l’ha praticamente rubato, altro che dimenticato in borsa. Il logo e l’immagine di copertina sono di colore verde, soggette alla gradazione delle varie tonalità presenti nella palette di riferimento. La scelta di questo layout sembra molto ricalcare le onde della moda del biologico, del concetto del più-naturale-possibile, del più-naturale-di-così-si-muore. La sorte del verde, un colore che si è visto associato, senza essere mai interpellato, ad una filosofia — se così vogliamo definirla — piuttosto che ad una strategia di marketing. Tutto sommato quelli di Ikea non avrebbero alcun bisogno …

Sognando California

L’altro giorno ho scritto un racconto ambientato a Los Angeles. La protagonista aveva lasciato il sud Italia per la California. Niente, mi sono divertito un po’, come faccio di solito. Ho immaginato un appartamento di un posto in cui non sono mai stato — e in cui vorrei tanto andare, com’è normale che sia. Ho collegato i fili della mia immaginazione e mi sono lasciato trasportare in un luogo che non so nemmeno come profuma. Non c’è nulla su cui scherzare, gli odori sono importanti. Il resto l’hanno fatto i libri, la musica, i film e le serie TV che tanto mi hanno fatto perdere la testa per il made in USA. Los Angeles, l’acerrima nemica di New York. La città californiana dove fa caldo tutto l’anno, con tanto di Babbo Natale in costume da bagno, e si suda come se non ci fosse un domani. La rivalità tra i due simboli per antonomasia degli Stati Uniti è qualcosa che non si smette di respirare, anche nei momenti meno opportuni. Bret Easton Ellis ha provato ha gettare …

Pensavo fosse Hemingway e invece era Padre Pio

Ero in auto e tornavo dal centro commerciale. Per la strada non c’era chissà quale grossa presenza di automobilisti. In pieno sabato post pranzo non mi aspettavo di certo la strada deserta, eppure mi sbagliavo. Sarà che nel primo pomeriggio del fine settimana la maggior parte della gente preferisce fare altro invece di passare in rassegna gli scaffali di un ipermercato qualsiasi. Come sottofondo musicale c’era Father John Misty. Forse era proprio la sua When You’re Smiling and Astride Me a farci riflettere nel silenzio successivo alla confusione da luogo saturo d’aria ovattata. In un modo o nell’altro si deve pur uscire dal quel senso di nausea puntualmente provocato dal clima finto della mega struttura. Non so a cosa pensava la mia compagna di viaggio, ma io avevo i miei pensieri impegnati sulle montagne che ci affiancavano lungo il percorso — sono davvero pochi i chilometri che percorro ogni volta che vado al centro commerciale della mia zona. Il sole ci colpiva in pieno e noi non potevamo fare altro che approfittare della situazione per scaldarci un po’ attraverso …

La nebbia come rifugio

Le prime luci dell’alba portano con se tutto lo stupore di un nuovo inizio. Ogni giorno è un’incognita che si realizza, e che attraverso il nostro sguardo prende forma. La notte appena trascorsa è stata gelida, come se l’autunno avesse lasciato il posto ad un inverno sempre più prepotente. Ho guardato fuori dalla finestra quel poco che si illuminava con i primi raggi di sole. Un agglomerato di vapore indefinito sovrastava tutto il vicinato. Il quartiere in cui abito si riempie di gente solo in estate. Durante la stagione fredda ci conosciamo tutti. Gli alberi che costeggiano le strade principali non li ho mai persi di vista. Come se ognuno di loro avesse un nome ben preciso. Quando stacco dal lavoro, giunto all’ingresso del quartiere in cui abito, mi fermo a fissarli. In alcuni casi tocco la corteccia umida del tardo pomeriggio per poi annusarmi le dita. Un profumo inteso si sprigiona, esaltando i miei sensi. Quando cala la nebbia, il quartiere perde la sua forma. La fisionomia del posto che abito diventa indistinguibile, e …