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La speranza di chi sogna addosso, di Dea Urovi (EDITORIAL)

26Bio: Mi chiamo Dea Urovi, ho 16 anni e sono un’artista. Vivo a Londra ma sono nata in Italia in un piccolo paesino nelle pianure della Romagna. Vivendo a Londra ho capito che l’arte della fotografia e l’aiutare le persone sarebbero stati i due motivi per cui mi sarei svegliata la mattina con la speranza di chi sogna addosso. Uso la fotografia come modo per raccontare le mie giornate e ciò che voglio ricordare di più di questi anni; i momenti belli ma anche quelli brutti che mi hanno aiutato a crescere e diventare la persona che sono ora. I momenti che tengo più stretta a me li vedete in queste foto. Osservate con il cuore, non gli occhi. Breath life Peter Pan Constellations Fleecy dreams Mellow Run towards the sun Never-ending Baby Blues Night tales Your hands in mine Dea Urovi: Instagram Tagged in Adolescenza, Dea Urovi, Editoriale Fotografico, Fotografia

Le coppie che aspettano

Jana Romanova è una fotografa russa nata nel 1984 e laureata in giornalismo. I suoi progetti fotografici sono incentrati sul senso di comunità e di identità collettiva che emergono dai territori dei Paesi post-sovietici e dai volti pieni di storie che lei immortala. Una ventata di freschezza e morbidezza è data da un lavoro che mi ha colpito in particolare, chiamato waiting: come dormono le coppie quando aspettano un figlio? Ebbene, è un tema originale perché mostra in modo speciale quei futuri genitori nei loro letti, tra la spontaneità e la naturalezza delle prime luci del mattino. L’artista era ovviamente presente nelle loro stanze, accolta nel calore delle loro case anche se estranea, come lei stessa spiega, da una grande fiducia. Non penso che siano stati scatti impostati, anzi immagino Jana che verso le ore 6 si alza dal divano del salotto su cui dormiva, senza far rumore entra nelle loro stanze e sale su una scala, per cogliere quei momenti così tanto traboccanti di intimità. I corpi, probabilmente esausti, riposano ancora, alcuni sono abbracciati, …

Le tette e la Grande Guerra

di William Dollace Questa domenica sul Monte Stino che capitombola sul Lago di Idro sono stato a visitare le gallerie e gli appostamenti dei cannoni e delle sentinelle dei nostri soldati nella Grande Guerra. Che dire. Le bandiere, le scritte, il silenzio, la maestosità e l’altitudine del luogo hanno sempre un effetto rimembrante su di me, quasi come rebloggare in modo distantaneo su Tumblr. Lo so, che vi sembrerà osceno, questo accostamento fra il digitale alieno e il concreto storico intriso di analogica memoria, ma tant’è, è così. E allora il verde portentoso raccoglie e scopre margherite improvvise, alberi informicati, panchine, e un rifugio imbottito di una Radler magnifica della Dreher. In cima ho fumato un Partagas. Ok, non facciamo pubblicità qui, ma quel che è giusto è giusto. In realtà questo scritto voleva essere serio, un memoriale, un reportage storico di trincea, e si è trasformato in un salto di tappo fra erba e bandiere e cenere sparata al vento. Ho fatto un video e tante foto. Ho raccolto silenzi. Ho disattivato notifiche e intrusioni. …

Sophie Day e Fuckboy

Il ritratto è un genere fotografico che solitamente riconduciamo al volto e al corpo. Quello che vediamo è il risultato finale dell’interazione tra fotografo e soggetto. Spesso però appare come un insieme di fattori attraverso cui i due elementi attivi della fotografia dialogano tra loro, talvolta anche in modo implicito. Il lavoro della giovane fotografa newyorkese Sophie Day non è il ritratto in senso prettamente fotografico. Il suo progetto Fuckboy è un documentario sugli skateboarders della Grande Mela. Dalle clip che possiamo trovare sul suo profilo Vimeo ci rendiamo conto di quanto a volte la semplicità possa essere d’aiuto alle arti visive. Sophie riprende la realtà che sente vicina a sé, quella composta da adolescenti che cercano in ogni modo di stare a galla, quella dei maschi che danno il nome al suo documentario, i Fuckboys. La scelta del titolo è dovuta a uno stato di Facebook in cui la stessa Day chiede quale sia l’offesa più grande da fare a un ragazzo. Tra i vari little dick, asshole and stuff like that, c’era anche …

I luoghi inesplorati di Riccardo Mion

Natura e selvaggio sono concetti che vanno sempre di pari passo verso la propria affermazione. Parole che sono state accostate da tempi immemori, principi inviolabili ma continuamente messi alla prova, scaturiti da profonde riflessioni che hanno contribuito alla nascita di un immaginario abusato nell’utilizzo improprio del termine. La natura è il selvaggio per eccellenza, popolato da esseri accomunati da un’esistenza in continua lotta per l’adattamento, la sopravvivenza e la riproduzione della specie. I ritmi scanditi hanno caratterizzato ciò che l’uomo cerca di tenere sotto controllo con la sua opera invettiva. Spesso si fa risalire questo aspetto alla nascita della scienza e della tecnica, due branche della storia umana molto simili fra loro ma non per questo sussidiarie. Conoscere la natura, i suoi meandri, la sua indole selvaggia, appartiene a ciò che alimenta la nostra curiosità, soprattutto se decidiamo di osservare il rapporto che noi uomini intratteniamo con le sue sfumature. Ad alimentare questo scenario ci ha pensato la letteratura. La gran parte dell’opera di Jack London, ad esempio, è basata proprio sul rapporto che intercorre …

Pareti fredde e lenzuola bianche

Scegliere di fotografare tutto ciò che rientra nella comune definizione di intimo non è affatto semplice. È un percorso dove si può perdere subito il controllo, e ritrovarsi a fare i conti con una serie di risultati a noi estranei è molto facile. A questo punto sorge spontaneo oltrepassare i confini della fotografia e esportare questa riflessione ad un livello che colpisca l’arte in tutte le sue declinazioni, ma non è questo il momento per affrontare un tema così spinoso. L’intimo è una dimensione che, nella maggior parte dei casi, è ancora poco compresa, e quando un aspetto delle nostre esistenze non trova il giusto spazio attraverso cui esprimersi, ci ritroviamo a dover accettare errori e occasioni perdute che ricorderemo per sempre. Celebrare l’intimità, renderla protagonista di un ciclo tanto vasto quanto lo è quello della rappresentazione figurativa, è una sfida ardua da affrontare, e il nobile intento di immortalarla nella sua più umile espressione non riesce a tutti. Sara Lorusso è una fotografa italiana che vive a Bologna. I suoi lavori riescono a trasmettere …

Acidi e pixel: la fotografia di Paola Malloppo

Nella fotografia si intrecciano numerose vie. Si crea un miscuglio di contaminazioni che si ripercuote lungo pixel e pellicola. Questi ultimi due sono già fattori che si incontrano e che danno vita alla materia che verrà poi impressa su carta — o ancora nei pixel di uno schermo qualsiasi. Le visioni multiple che si presentano una volta immerso l’occhio dentro il mirino spingono i diversi generi oltre il limite, sino alla distorsione che se ne può fare dell’arte stessa. Verrebbe da dire che oltre la diatriba tra analogico e digitale esiste altro. Soffermarsi su un lecito dibattito potrebbe creare una sorta di freno, un ostacolo alla stessa fotografia che invade le nostre vite fino a condizionare in un certo l’immaginario. Paola Malloppo è una di quelle fotografe che riesce benissimo a far dialogare due realtà — l’analogico e il digitale — che non cessano di contaminarsi a vicenda. Far convivere due tecniche è una prassi molto delicata, e il pericolo di incorrere nello sfacelo più totale è dietro l’angolo. La pellicola e i pixel respirano quasi la stessa aria, gli stessi …

Giulia Bersani: 21–22

Usiamo le parole per raccontare qualcosa. Un incontro, un incidente, un istante. Le meningi si spremono ed ecco saltar fuori una storia forbita di nomi, verbi e tutto il resto degli ingredienti. Tutto segue il ritmo dettato dalla punteggiatura — sottintesa quando la narrazione è orale, incisa sulla pagina quando è scritta. Poco importa se l’oggetto del racconto sia vero o falso. Se l’attenzione è colta nel migliore dei modi allora possiamo anche spararla grossa senza destare alcun sospetto in chi ci ascolta. Raccontare qualcosa attraverso la fotografia è rischioso quanto lo è farlo attraverso le parole. La relativa difficoltà vive in entrambe le forme. Mostrare la superiorità di una rispetto all’altra non avrebbe alcun valore assoluto — senza contare che si potrebbe rimanere bloccati come in un vortice che non consente alcuna via d’uscita. L’atto narrativo tiene i fili che uniscono entrambi i mezzi, fino a rendere innocue le diversità tra le rispettive forme. Se la narrazione risulta ben riuscita, allora non ha affatto importanza se essa sia giunta tramite pellicola o tramite pagina. L’obiettivo ultimo è stato …

Le promesse di Sarah Pannell

di William Dollace Sarah Pannell è una fotografa freelance australiana. I suoi scatti, detersi e precisi, illuminanti nella loro depressiva chiarezza, ritraggono un mondo in cui anche la manopola del rumore bianco è stata ridotta all’OFF. Gli spazi vengono delineati da altri spazi interni, seconde cornici che diventano un modo plurimo di circoscrivere lo spazio e dargli profondità, per scavarne la superficie silenziata. Vi sono oggetti inanimati, monoliti inermi e feticci del capitalismo, slanci di liberazione e fuga, cose soprattutto, così come stanno, rivelate alla luce come se nate in quel momento e solo in quel momento scoperte. La presenza dell’assenza è assordante. Vi è l’attesa, l’attesa dell’attraversamento di un corpo, di un’automobile, la tensione che deriva dalla possibilità. Sono mondi silenziosi, che tuttavia, contengono una promessa. Il sito web di Sarah. Tagged in Fotografia, Sarah Pannell  

La fotografia come arte — Intervista a Lobbiaz

Di recente ho provato l’irresistibile impulso di avvicinarmi al mondo della fotografia istantanea. Ho acquistato una Polaroid 636 (non è pubblicità occulta, vero?) e aspetto solo di averla tra le mani per cominciare a sperimentare. Le istantanee hanno un fascino completamente diverso dalla fotografia digitale. La sensazione che si prova nel sentire fisicamente la pellicola e ciò che viene scritto su con la luce, è quasi una magia. Pensate a quanto sia bello scattare una fotografia e vederla uscire direttamente dalla macchinetta. Guardare il risultato ottenuto su uno schermo digitale non è esattamente la stessa cosa. Ho conosciuto il lavoro di Lobbiaz quasi per caso. Lui è un fotografo francese che predilige la fotografia analogica, ma utilizza anche il formato digitale. E’ poliglotta, scatta bellissime istantanee ed ha all’attivo diversi progetti — che potete ammirare e acquistare, se volete, sul suo sito. Ma a me non bastava, perciò presa dalla curiosità ho deciso di fargli alcune domande. Lobbiaz ha accettato di rispondere e ne è venuta fuori una bellissima chiacchierata — in videochiamata, su Facebook, in un martedì di …