Elogio alla solitudine
di Francesco Tacconi Il rumore delle sue scarpe vecchie le piaceva tantissimo. Mutava in modo delizioso, prima sul marciapiede, poi su un tombino, sul marmo sporco e di nuovo sull’asfalto. E’ strano definire il suo modo di camminare, coincideva perfettamente con lo stato d’animo, ed entrambi cambiavano spesso, in maniera quasi impercettibile, come un nuvolone nero che si staglia in cielo senza essere visto da nessuno. Piccoli passi brevi e rapidi per un umore pensieroso, distante. Va veloce anche se non è in ritardo, come se la puntualità fosse una prerogativa di ogni appuntamento, anche se, senza dubbio l’anticipo risultava alla fine la qualità migliore, non ne poteva fare a meno. Ampi movimenti delle gambe per i giorni grigi, quando, stizzita, supera la gente lenta per strada, che si blocca in mezzo alla via. Le sue falcate spedite sono modi per lasciare l’incazzatura alle spalle, ma con gli occhi fermi su un punto a caso davanti a sé e le labbra serrate, mostra la sua irritazione verso il genere umano, che a volte la rende …