La giungla d’asfalto di Arthur Fellig
di William Dollace Bianco e Nero. Nero come la cronaca e bianco come il lenzuolo che la ricopre. La città è uno sconfinato ring di cemento senza corde, sopra il quale resistere fino all’alba. I meno allenati gettano la spugna già a notte fonda: annegati negli alcolici, accoltellati da prostitute, crivellati dai colpi oppure appesi per il collo a lampioni, scalzi e cianotici. Il fascino e la violenza, nell’insensibilità alla luce rossa di camere oscure e motel ad ore, si mescolano agli agenti chimici in vaschette per lo sviluppo fotografico. Nessun compromesso estetico o sfumatura di colore. I corpi delle vittime vengono ripescati da pinzette professionali e lasciati appesi a sgocciolare, fermati da mollette di legno. Lo stesso flash di un colpo di pistola in faccia. Successivamente, il bianco saturo inizia a trasformarsi nei contorni macabri di fotografie di sconosciuti congelati nella loro ultima plastica resistenza alla morte. Vite inermi, nel loro perpetuo abbraccio con l’asfalto. Nauseati dal cloroformio che li ha storditi e baciati dalla violenza che li ha sorpresi. Cibo confezionato in abiti …