Puoi riconoscere un danzatore dal modo in cui si muove, dal modo in cui i suoi muscoli si contraggono e le sue mani canalizzano l’energia e la esternano. I danzatori hanno un’espressione che volteggia tra gli occhi e la bocca, mai stanca, mai cristallizzata in una muta maschera di terracotta.
Tu, forse non mi vedrai mai sotto le luci teatrali. Non mi assaporerai nel mettere in scena la verità su di me sotto la maschera da interprete. Non mi riconoscerai tra altri danzatori.
Potrai solo continuare a riconoscermi tra la folla, per il mio sguardo, il mio sorriso, il modo in cui i miei capelli vengono travolti dal vento della metropolitana o dal vento freddo di Dublino. Certo, potremo ballare insieme in mezzo a un prato, su una spiaggia, sotto la pioggia, il sole, l’arcobaleno.
Certo, ora non mi resta che ballare nei pochi metri quadri della mia stanza, ad occhi chiusi, tra cornici sparse per terra senza chiodi a cui appenderle, senza persone che trovino in esse un proprio passato, un futuro non vissuto o ipotetico. Danzo nel mio presente, eppure ancora penso che non mi vedrai danzare né mi riconoscerai tra altri danzatori.
I danzatori, ovunque essi si trovino, continuano a danzare e non smettono nemmeno in questi giorni fuori tempo, perché la necessità di esprimersi e vibrare nell’aria non muore neanche quando lo spazio attorno si fa sempre più stretto. Così anche io inizio la mia danza a ritmo del tempo che passa, lento e veloce senza mai fermarsi. Respiro e mi ascolto, sospiro e ti parlo:
“Glimpses
Floating.
Hands
Reaching out
Hopes and
Love
Suggested by
The rhythm of a heart,
The roots
Of a complementary
Soul.
You can know
The dancer
From the dance.”